Commenti post-elettorali
Partiamo da Milano. Bene, bene, bene. A costo di violare ogni regola della scaramanzia, per tutta la campagna ho detto che conosco troppo bene i miei concittadini e il loro pragmatismo per aver potuto pensare anche solo per un attimo che, dovendo scegliere tra la Milano di oggi e quella ereditata da Giuliano Pisapia 5 anni fa, i milanesi avrebbero preso la decisone sbagliata. La Milano di oggi è una città troppo più bella, più prospera e più felice di quella di 5 anni fa perché la maggioranza dei milanesi potesse immaginare di restituirla a chi l’ha gestita tristemente per vent’anni, da Formentini alla Moratti. I milanesi oggi sono fieri di essere milanesi, e alla fine hanno scelto di proseguire un’esperienza che li ha riportati a vivere in una capitale europea, in un luogo che ha riscoperto di avere una vocazione turistica, in una città vibrante e vivace.
Certo, è stata più difficile del previsto. Merito secondo me della scelta di un candidato rassicurante come Stefano Parisi da parte di una destra singolarmente (ma io credo solo superficialmente) unita: se Parisi alla fine avesse vinto, i nodi sarebbero venuti rapidamente al pettine. Parisi, poi, non si è aiutato parlando di Milano come di una specie di Bronx dove la gente cammina terrorizzata per strada. Una descrizione totalmente fuori calibro per una città che, con tutte le sue difficoltà, resta pur sempre una delle più vivibili d’Italia.
In ogni caso a Milano abbiamo visto un fenomeno abbastanza singolare per queste amministrative: sia la destra che la sinistra si sono presentate unite, con il risultato che le ali estreme ne sono state penalizzate: è valso al primo turno sia per la Lega, che per la sinistra radicale, che per il Movimento 5 Stelle, che a Milano resta assolutamente marginale. Insomma, a Milano si sono visti due candidati rispettabili, con due coalizioni ampie ma largamente guidate dalle forze più ragionevoli e moderate. Uno scenario normale, diciamo.
Per il resto, non si può non riconoscere il successo di 5 Stelle. Non tanto per la vicenda romana, che credo avrebbe premiato anche il cavallo di Caligola, quanto per l’esito delle elezioni a Torino. Diciamo che, a distanza di anni, a Torino si è rivisto il fenomeno che portò Pizzarotti a diventare il Sindaco di Parma: un candidato rassicurante e “presentabile” in svantaggio al primo turno che, con una chiara rimonta anti-establishment, dovuta anche alla massiccia convergenza dei voti di destra, riesce a battere il candidato del centro-sinistra molto in vantaggio dopo il primo turno.
Questa convergenza destra-5 Stelle è interessante per due motivi. Uno è che l’elettore di destra vota volentieri per i grillini, anche grazie al fatto che i pentastellati hanno cercato il voto delle destre con alcune posizioni certamente di destra su temi come le adozioni all’interno delle unioni civili o l’immigrazione. Il secondo è chiaramente il fatto che ogni cosa che può andare contro il governo per la destra va bene. Attenzione però, perché la stessa cosa non sembra applicarsi all’elettore grillino, che né a Milano né a Bologna è andato sul candidato della destra. Come a dire che la destra si offre a Grillo, ma non succede il contrario.
C’è anche da dire che l’elettore di sinistra radicale sembra ricompattarsi sul PD se l’alternativa è la destra, non se l’alternativa è M5S. Come se l’idea di consegnare Milano a La Russa sia più spaventosa per l’elettore della sinistra radicale che quella di consegnare Torino a Chiara Appendino. A Milano abbiamo visto all’opera, nei quindici giorni tra primo e secondo turno, una “mobilitazione democratica” che probabilmente non avremmo visto se al posto di Parisi fosse arrivato al ballottaggio Gianluca Corrado. Potrà sembrare ovvio, non lo è per chi abbia visto le modalità di lavoro del Movimento 5 Stelle, che non sono meno preoccupanti per una democrazia “normale” di quelle di Salvini. Avere una Sindaca a Roma che ha firmato un patto con un’azienda privata – con il quale si obbliga a versare alla medesima 150 mila euro in caso di disallineamento dalle loro indicazioni – costituisce secondo me un segnale di allarme per una democrazia liberale non inferiore a quello di un leader che invoca la castrazione chimica quale sanzione penale.
Ora a 5 Stelle toccherà governare e provare la propria nobilitate. Sono molto curioso dell’esito delle due amministrazioni, anche se credo che tra le due Sindache ci sia una differenza grande quanto quella che corre tra le due città che dovranno governare. Chiara Appendino credo avrà un compito meno arduo: viene da una famiglia bene di Torino, ha gli agganci giusti, troverà collaborazione ed eredita una città molto ben amministrata dal suo predecessore; bisognerà vedere però se anche lei non si troverà alla fine nella situazione, appunto, di Federico Pizzarotti. Uno che ha fatto tutta la campagna elettorale contro un inceneritore e poi ha fatto per prima cosa proprio quell’inceneritore, dicendo subito a tutti che una cosa è urlare alla luna, la specialità della casa, una cosa è governare. Il risultato è che quanto più Pizzarotti ha cercato di fare il Sindaco, tanto più il fossato tra lui e il movimento si è allargato (notare che Appendino non ha firmato il contratto con la Casaleggio & Associati). La domanda è dunque: riuscirà Appendino a governare senza essere marginalizzata, o addirittura espulsa?
Quanto a Virginia Raggi, vedremo. Ha davanti a sé una fatica di Sisifo. Una città sconfinata, in pessime condizioni, dove c’è una tale molteplicità di interessi da contemperare che sarà impossibile governare e non scontentarne qualcuno. Ci ha provato Ignazio Marino a tenere una linea “grillina” – nel senso di tutta di un pezzo, di quelle che si fa solo quello che pare aprioristicamente giusto indipendentemente dal consenso – e dopo sei mesi tutta la città ce l’aveva con lui (compresi quelli che hanno cominciato a difenderlo strumentalmente solo quando è caduto in disgrazia presso il Partito). La Raggi ha detto che “riorganizzerà” le municipalizzate: vedremo cosa vorrà dire. La vedremo alle prese con i tassinari, con i rifiuti, con le periferie, con gli editori dei giornali, con il Vaticano e con le parrocchie, con i campi Rom, con gli uffici pubblici, con gli autobus che non passano e i passeggeri che non pagano il biglietto, con i vigili urbani che si ammalano tutti insieme a Capodanno e altre allegre amenità sulle quali, ogni qual volta l’ho sentita parlare, non ha detto alcunché. Che dire: auguri, e speriamo per Roma che faccia bene.
Alla fine penso che per il ruolo che 5Stelle sta prendendo nel Paese sia forse anche giusto che governino da qualche parte più visibile di Parma o di Livorno. Se aspirano, come legittimamente fanno, a governare il Paese con Luigi Di Maio è giusto che il Paese possa vedere come funziona Virginia Raggi e fare un parallelo. Verificare se comprato un motorino usato dalla Raggi (e dalla Lombardi e da Di Battista) siano poi disponibili a comprarsi anche una macchina (o un TIR) usato da Luigi Di Maio (e dalla Lombardi e da Di Battista). Una specie di periodo di prova. A Livorno non è andata gran che ma, ripeto, Livorno non si vede tanto bene. Roma, quella sì, si vede bene da ogni angolo del Paese. Vedremo meglio quanto avrà a guadagnarne il Paese togliendo dal governo un Padoan o un Calenda e mettendo al posto loro una Taverna o un Sibilia.
Ultimo pensiero sul PD. Non condivido l’idea di chi dice che siamo di fronte a una crisi, un crollo o una disfatta. Sporcandoci le mani con il governo della realtà giorno per giorno e non limitandoci a promettere un futuro migliore (quello che fa 5Stelle) siamo ancora stabilmente il primo partito del Paese. L’unico con una leadership credibile. Certo, ci sono cose che possono essere migliorate e questo stop elettorale servirà di sicuro a riflettere su alcune cose: il partito sui territori, per esempio. A Milano si è vinto non solo perché abbiamo governato bene con Pisapia e perché abbiamo tenuto la sinistra unita, ma anche perché il gruppo dirigente del PD Milanese – pur con tutte le sue diversità – è compatto e autorevole. Perché, aggiungo, a Milano il PD riesce ad attrarre un sacco di giovani che nel resto d’Italia si vedono davvero pochino alle nostre riunioni. Milano però è un’eccezione, e non la regola. Senza un partito rinnovato alle spalle tutto è più difficile, e in special modo diventano difficili le prove elettorali locali.
Ma non credo affatto che Renzi debba essere meno deciso e meno determinato a portare avanti l’agenda del governo, al contrario. Né che si debbano separare le cariche di Premier e di Segretario del Partito, con il risultato di costringere il Presidente del Consiglio a estenuanti trattative prima di tutto con il suo partito: del resto in tutto il mondo occidentale ogni leader è anche alla testa del suo partito, e un motivo ci dovrà pur essere.
Insomma, se Renzi deve cambiare qualcosa è secondo me essere più e non meno Renzi di quanto sia oggi. La carica innovativa che l’ha premiato va rafforzata, non diluita. Il cambiamento che rappresenta, va sottolineato, non smorzato. Ci sono tante cose fatte e tante cose da fare, probabilmente anche rivedere una parte della nostra comunicazione. Se il Presidente di Arcigay Torino va fare l’assessore nella giunta del partito che ha affossato le stepchild adoption (e che avrebbe affossato probabilmente anche la legge per intero) senza che nessuno gliene chieda conto, forse dobbiamo ragionare su quanti dei risultati che oggettivamente abbiamo portato a casa siano giunti con nettezza ai nostri concittadini.
Ma certo bisogna continuare su questa strada, andare avanti. Viaggio moltissimo per lavoro e so quanto l’Italia abbia recuperato credibilità a livello internazionale. Incontro quotidianamente gli imprenditori e so quanto oggi sia più semplice produrre, esportare e creare lavoro: non è ancora abbastanza ma le cose sono cambiate radicalmente. Non ho paura del referendum, né delle prossime elezioni, e non credo bisogna cambiare l’Italicum per paura di sostenere un altro ballottaggio con 5 Stelle. La riforma costituzionale è valida, la legge elettorale assicura stabilità ed è una buona legge indipendentemente da chi vincerà democraticamente le elezioni. Noi abbiamo molte cose da rivendicare e affronteremo il corpo elettorale forti dei risultati, avendo nel frattempo l’intelligenza di aggiustare il tiro ovunque sia opportuno o necessario.