È il momento di una legge sull’eutanasia
Ci sono incontri destinati a restare impressi nella vita e nella memoria con caratteristiche di particolare nitidezza. Quelli di cui ti ricordi non solo le immagini e le parole, ma anche chiaramente tutto quello che c’era intorno. Sono appena uscito da casa di Massimo Fanelli vicino a Senigallia e so che questo di oggi è stato esattamente un incontro di quel tipo speciale.
Per i pochissimi che non conoscono la sua storia, Max è stato un dirigente d’azienda, un volontario di Emergency con responsabilità in varie parti del mondo, il fondatore di un’associazione di volontari che ha messo le mani in un posto difficile come la Sierra Leone. Oggi, invece, è un malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica. Sta in un letto, totalmente paralizzato, respira solo grazie a una sonda nella trachea, è alimentato attraverso un tubicino impiantato nell’addome e comunica con il resto del mondo attraverso un computer che gli consente di usare il proprio occhio destro come il dito su una tastiera: l’occhio guarda il tasto, le parole si compongono e poi una voce pronuncia quello che Max vuole dire al mondo, che poi sarebbe il più delle volte Monica, sua moglie. Quando il computer si spegne, di notte, Monica deve intuire – con il solo invincibile potere dell’amore – se il suo Max stia bene, male o se semplicemente abbia bisogno di dirle qualcosa.
Questa è la vita di Max, una bella testa e un’anima nobile chiuse dentro a un corpo che nonrisponde più, come una specie di tuta da palombaro sigillata irreversibilmente. Abbiamo parlato a lungo, ho anche visto un breve film sulla sua vita e ho pensato – e gliel’ho detto – che mi è dispiaciuto non averlo conosciuto prima. Lui doveva essere uno di quello con i quali ridere e chiacchierare fino all’alba di massimi sistemi davanti a una bottiglia di quelle molto buone.
Che dice Massimo? Che “è dura”. Ho pensato, e gliel’ho detto, che il mio cervello non ha gli strumenti per immaginarsi quanto sia dura, ma che per lui lo sia, quello lo si vede a occhio nudo.
Poi mi ha detto che il giorno in cui anche il suo occhio dovesse fermarsi, il giorno in cui anchela visiera dello scafandro dovesse calare sulla sua vista chiudendolo dentro per sempre, lui vorrebbe poter essere libero di decidere se e quando andarsene. Semplice e giusto, Max. Io credo tu ne abbia il diritto sacrosanto. Perché la tua vita è sempre stata tua, tua la responsabilità di tutte le scelte fatte finora da uomo libero e davvero non si capisce quale legge balzana stabilisca che uno possa decidere di farsi fare una tracheotomia per respirare artificialmente, ma poi non possa decidere di staccare il medesimo respiratore messogli in gola solo grazie al proprio consenso.Ho raccontato a Max quanto sia stato irragionevolmente difficile portare a casa la legge sulle unioni civili, di quanto io trovi che questo meraviglioso Paese, ricco di insospettabili risorse, diventi a un certo punto afasico e tentennante davanti alle milioni di storie individuali di ciascuno di noi, al diritto di ciascuno alla propria autodeterminazione.
Quanto la politica sia abituata a trattare di noi cittadini sempre come membri di una collettività – a scuola e sul lavoro; come pazienti, clienti e utenti; nel condominio o nel sindacato – e mai come individui singoli, titolari di una storia unica e irripetibile, degna di essere vissuta nella propria irripetibile unicità. Protagonisti sul palcoscenico pubblico solo dalle 8 alle 17, in orario lavorativo, e mai dalle 17 alle 8, nelle ore della vita privata: le ore in cui rileva per una donna abortire o restare incinta, per la famiglia di un malato la sorte del proprio congiunto, per una coppia gay o lesbica vivere la propria vita pienamente e pubblicamente.
“Io non ci vado a morire in Svizzera”, mi ha detto Max, “perché aggirare le leggi ingiuste significa contribuire all’imbarbarimento della società”. “Io non sono andato a sposarmi all’estero per lo stesso motivo”, gli ho risposto. Il fatto è che bisogna fare le leggi, perché le leggi hanno un valore educativo altissimo, e servono al progresso del Paese. In fondo quello è stato il dono di Beppino Englaro: aver dimostrato che in certi casi lo Stato bisogna pretendere che sia al nostro fianco, e non fargli le cose alle spalle.
“Più di 200 parlamentari sono con noi”, mi ha detto Max. “Vero, e io sono uno di quelli”, gli ho risposto. Ora bisogna che questi 200 parlamentari entrino nell’ottica che certe leggi si possono fare anche in Italia, come abbiamo dimostrato giusto due settimane fa, e che la battaglia per la legge sul fine vita riparta per arrivare fino in fondo.
Monica e Max mi hanno detto che sono stato il quinto parlamentare a essere andati a trovarli. Forse bisognerebbe che ci andassero tutti, uno alla volta, anche gli altri 195 colleghi. E naturalmente anche tutti quelli che, sgambettando per il mondo, non sono d’accordo che l’immobile Max decida cosa è meglio per sé. Io lo dirò a tutti i miei colleghi, di parlamento e di governo, di andare a trovare Max Fanelli a Senigallia e di fare due chiacchiere con il suo occhio.
Arrivando da lui mi ero fatto l’idea che nella sua immobilità, Max avesse perso anche la sensibilità, il tatto, la sensazione del caldo e del freddo. Monica mi ha detto di no, che il contatto fisico Massimo lo sente. Alla fine della nostra chiacchierata, mi ha detto che se avevo piacere potevo toccargli una mano. L’ho toccata. In realtà alla fine gliel’ho presa tra le mie, e ho pensato che paradossalmente, in quella stretta, sembravo più io agganciato a lui che il contrario. Un’amica comune mi aveva scritto che andando a trovare a casa Monica e Max, ne sarei uscito migliore. Aveva ragione.
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