A chi rendere conto
È stata una settimana campale, è l’unico aggettivo che mi venga in mente, al termine della quale abbiamo approvato tutti i 41 articoli della riforma costituzionale. Il voto finale sul provvedimento si farà nel mese di marzo, spiegherò più avanti il perché. Ma parliamo di come sono andate le cose.
Abbiamo fatto bene a tirare dritto e a votare, anche nelle condizioni difficili in cui ci siamo trovati. Come si fa a votare una riforma costituzionale se tutte le opposizioni sono uscite dall’aula, qualcuno si chiede. La risposta è che qualsiasi cosa si fosse fatto, le opposizioni sarebbero comunque uscite dall’aula. L’unica cosa da decidere era se trovarci in questa situazione ora, tra un mese o tra tre mesi. Anche al Senato, quando c’è stato il primo voto ad agosto, le opposizioni sono uscite dall’aula. Il fatto è che le opposizioni non vogliono questa riforma e sono disposte ad utilizzare qualsiasi mezzo perché non sia approvata. Questo è del tutto legittimo, ma è altrettanto legittimo da parte della maggioranza voler portare a casa quelle riforme di cui la politica parla in modo inconcludente da almeno trent’anni.
La posizione più inspiegabile è quella di Forza Italia. Vicenda Quirinale a parte – vicenda conclusasi in modo unanimemente riconosciuto come assolutamente positivo – il testo che si sono rifiutati di votare è il testo scritto insieme al Senato e modificato insieme alla Camera con il contributo determinante del Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Francesco Paolo Sisto, e di tutto il loro gruppo, a partire dalla brava collega Elena Centemero. La riforma uscita dalla Camera non è dunque certamente il frutto di un colpo di mano del PD. La Costituzione riformata, che ci sia alla fine il voto di Forza Italia o meno, sarà rappresentativa – nei principi e nelle norme – della volontà politica di tutta la maggioranza e di una parte importante dell’opposizione. Non è la prima volta che Berlusconi tratta per intero una riforma costituzionale per poi tirarsi indietro all’ultimo momento. Con la Bicamerale gli è riuscito di far saltare il tavolo, questa volta credo non gli riuscirà.
5Stelle ha giocato come al solito allo sfascio. Gianni Cuperlo a ragione ha detto che il Movimento ha caratteristiche “diciannoviste“. In aula i grillini hanno chiarito a più riprese che o si faceva quello che dicevano loro o non si sarebbe fatto niente perché essi avrebbero impedito con la forza qualsiasi attività d’aula. La presidenza sempre caldamente “consigliata” di trasformare in decisioni le loro proposte. Urla belluine, scranni trasformati in tamburi, braccia levate come nella curva di uno stadio, parole irripetibili nei confronti della presidenza e del governo, l’impossibilità materiale di proseguire i lavori.
Tutto questo per contestare la seduta fiume, la decisione cioè di lavorare giorno e notte per approvare il provvedimento. Decisione presa per un motivo molto semplice: il regolamento della Camera prevede la possibilità di presentare all’inizio di ogni seduta un numero indefinito di subemendamenti agli emendamenti in discussione. Questo significa che fino alla deliberazione della seduta fiume ci siamo trovati ogni giorno con 500 o 600 votazioni aggiuntive da fare quando realisticamente la Camera è in condizione di discutere e votare non più di un centinaio di emendamenti al giorno. La seduta fiume, invece, è un’unica seduta – anche se dura più giorni – e questo ha messo il governo in condizione di poter sapere esattamente quante votazioni si dovessero fare fino all’approvazione del provvedimento.
In sostanza, davanti all’arma finale dell’ingolfamento, azionata dalla minoranza, l’unico antidoto per la maggioranza era la seduta fiume. Non ci dimentichiamo che in una democrazia la minoranza ha tutto il diritto di fare opposizione, ma non al punto di impedire alla maggioranza di pervenire a una votazione finale su un determinato provvedimento. Questo perché, quando malauguratamente non si riesce ad arrivare a una decisione soddisfacente per tutti, l’unica via di uscita in una democrazia è il principio della prevalenza della maggioranza. La prevalenza della minoranza non è prevista in un regime democratico stop.
La maggioranza ha comunque provato in tutti i modi a evitare che l’epilogo fosse questo. Si era già spostato il termine della votazione molto dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, come si era immaginato all’inizio. Ma in questi giorni, proprio per evitare la situazione in cui ci si è trovati, si era anche raggiunto un accordo con Lega, Forza Italia e SEL che consentisse di essere tutti presenti alla votazione degli articoli. Questo è il motivo per cui abbiamo accettato di posticipare il voto finale a marzo (tema molto caro a Brunetta) ed è il motivo per cui maggioranza e governo hanno accettato di votare un emendamento alla Carta proposto della Lega Nord. Accordo che poi non si è riuscito ad estendere al Movimento 5Stelle per il semplice motivo che i grillini proponevano emendamenti sui quali un accordo non si sarebbe mai potuto trovare.
Al netto del modo “diciannovista” in cui trattano il parlamento, la sua aula e i suoi lavori, 5Stelle ha una concezione della democrazia molto diversa dalla nostra. Loro sostengono il superamento della democrazia rappresentativa come è conosciuta in occidente e spingono per un modello di democrazia diretta (o plebiscitaria). Cosa ci proponevano, infatti? L’introduzione di referendum propositivi e vincolanti senza quorum, il vincolo per il parlamento di discutere tutte le proposte di legge di iniziativa popolare e l’introduzione di un meccanismo che consentisse a una minoranza parlamentare di sottoporre al vaglio della Corte Costituzionale tutte le leggi approvate dal parlamento. Loro superano la crisi della politica buttando via la politica, insomma, mentre noi pensiamo che la cattiva politica vada sostituita con la buona politica. Due visioni legittime, ma diametralmente opposte. Accettare i loro emendamenti significava semplicemente scrivere un’altra carta costituzionale. Possibile, forse, ma non con questo governo e con questo parlamento.
Fallito dunque l’accordo con 5Stelle, anche le opposizioni che avevano già riscosso il prezzo dell’accordo (l’emendamento da loro proposto per la Lega, lo spostamento del voto per Forza Italia e SEL) hanno ritenuto di far saltare l’accordo e di arrivare all’abbandono dell’aula. 5Stelle ha allora chiesto che un articolo della riforma (l’articolo 15) fosse rimandato a marzo insieme al voto finale. Il risultato sarebbe stato quello di spostare a marzo non solo quell’articolo ma anche gli articoli contenenti le disposizioni transitorie e finali e soprattutto quello di riaprire i termini per presentare un numero indefinito di subemendamenti e precipitare nuovamente il provvedimento in una situazione totalmente indefinita sul piano del percorso parlamentare. Va da sé che questa proposta non era ricevibile: non poteva che essere evidente anche agli occhi dei parlamentari grillini, ed è per questo che penso che alla fine ci saremmo trovati comunque con l’aula semivuota.
La riforma supera due problemi molto gravi della Costituzione vigente: quello del bicameralismo paritario – sottolineato anche dal Presidente Napolitano nei suoi interventi di fine anno – e quello del rapporto Stato-Regioni nato dalla riforma costituzionale del 2001. Si potrà anche non approvarne taluni dettagli, o non condividerne alcuni meccanismi, ma è fuori discussione che questa riforma va fatta, così come va fatta la legge elettorale. Nei prossimi giorni si lavorerà per ricucire, e tutti auspichiamo che le opposizioni decidano di rientrare in aula, ma non si può pensare che il prezzo per ricomporre la frattura sia il naufragio – o il rinvio sine die, che è la stessa cosa – delle riforme.
Il Paese va modernizzato e questo governo non è un governo che può solo vivacchiare o limitarsi sopravvivere. Non è una fissazione né mania di grandezza: è il Paese che in questo frangente storico non può permettersi un’azione di governo che non sia all’altezza delle sfide che affrontiamo, prima tra tutte l’aggancio a quella ripresa che sembra prospettarsi per il 2015. Le riforme, quelle costituzionali e non solo, sono un impegno che non riguarda i rapporti tra i partiti, ma i rapporti tra la politica e il paese.
Con tutto il rispetto per i protagonisti della singolare conferenza stampa che ha messo intorno allo stesso tavolo Brunetta e Fedriga, Rampelli e Scotto e Saltamartini non è a loro ma agli italiani che alla fine dobbiamo rendere conto.