Ma non siete stanchi di avere sempre ragione?
In Butch Cassidy, indimenticabile e atipico western firmato da George Roy Hill nei tardi anni Sessanta, Robert Redford-Sundance Kid dice all’eroe eponimo-Paul Newman, dopo che quest’ultimo ha collezionato una lunga serie di previsioni e deduzioni sbagliate: “Ma non sei stanco di avere sempre ragione?”.
Mi è venuta in mente questa gustosa scenetta nel leggere i commenti, anche autorevoli, di diverse grandi firme – Gad Lerner in testa – che hanno letto nel voto emiliano e calabrese l’inizio della parabola discendente di Matteo Renzi.
Come inizio non c’è male: il premier, dopo avere arricchito e proseguito un filotto di vittorie nelle elezioni regionali cominciato in Sardegna e continuato in Abruzzo, Piemonte, Emilia Romagna e Calabria, si appresta, con ogni verosimiglianza, a conquistare al centro-sinistra tutte le Regioni a statuto ordinario con l’eccezione della Lombardia e forse del Veneto.
Renzi viene da un semestre di turno di presidenza del Consiglio dell’Unione nel quale, anche come leader del Pse, ha sostenuto la presidenza Juncker a patto e condizione che ci fosse una decisa soluzione di continuità rispetto alle politiche di austerity, che in particolare si svincolassero dalla camicia di Nesso del Patto di Stabilità le spese per gli investimenti, e lo ha ottenuto.
Ha ottenuto da Bruxelles un visto alla Legge di Stabilità che gli arcigni funzionari della Commissione non avrebbero dato a nessun altro Governo italiano (non per simpatia personale, ma per genuinità di propositi ed atti di riforma); ha, con lungo e doloroso travaglio, compattato la stragrande maggioranza del PD e quella di governo sull’improbo passaggio del Jobs Act; ha rintuzzato i tentativi dilatori e gli indecisionismi sull’Italicum di quel Berlusconi di cui secondo gli autorevoli opinionisti sarebbe succubo.
Insomma, con una parabola discendente così c’è davvero da preoccuparsi. Intendiamoci, va dato merito ai competitors di fare di tutto per aiutare Matteo a cogliere i suoi successi: se i Cinquestelle non riescono proprio a passare dallo stato di sintomo a quello di terapia, se il centrodestra subisce l’egemonia delle parole d’ordine forcaiole e xenofobe di Salvini, se il massimalismo di sinistra è in crisi di idee, di consensi e di credibilità, è abbastanza facile per Renzi infilare una vittoria dietro l’altra. Ma perché fargliene una colpa?
L’argomento principe che viene usato dai profeti di sventura e di imminente catastrofe è l’astensionismo. Non è una storia inedita: fu il grande Marco Pannella, con intenzioni molto migliori, ad intestarsi la paternità del “partito del non voto”, che già negli anni Settanta-Ottanta aveva percentuali ragguardevoli. Si realizza così il paradosso per il quale un cittadino che abbia compiuto la libera scelta di non partecipare alla contesa elettorale si trova trascinato al centro di quella stessa contesa, con un gran numero di soloni prontissimi a spiegargli quali siano state le sue motivazioni e quale segnale intendesse lanciare.
Magari fosse così: se la disaffezione alle urne, la crisi della democrazia rappresentativa, il crollo verticale del crollo del prestigio dei poteri pubblici dipendessero da Renzi, basterebbe attendere quella decina d’anni in cui ha intenzione di restare sulla scena e tutto tornerebbe a posto per incanto.
Il problema è invece più ampio e più profondo: perché la riduzione dell’affluenza alle urne è un dato planetario e travalica le motivazioni contingenti che l’hanno resa clamorosa in Emilia (disgusto per gli scandali, esito scontato, mancato traino nazionale), la crisi della politica e la natura effimera delle leadership riguardano l’intero Occidente, perché la perdurante crisi economica mondiale sta minando alle fondamenta la pietra angolare della democrazia: l’idea cioè che i problemi degli individui possano essere alleviati o risolti da decisioni collettive o comunitarie.
È con questo che ci dobbiamo confrontare, io, Renzi, Lerner, e anche chi mi legge: con la necessità – assoluta, impellente – di riportare in auge questa convinzione e questa consapevolezza.