Harakiri

Solo qualche giorno fa, ho rilasciato un’intervista a Marco Esposito di Giornalettismo. Spiegavo in quell’intervista che, nonostante il travolgente risultato elettorale del PD – un risultato che ha lanciato il partito verso vette inesplorate di consenso e salvato le istituzioni dalla valanga dell’antipolitica – avevo il timore che prima o poi qualcuno dei miei colleghi si sarebbe lanciato in qualche eclatante manifestazione di autolesionismo.

Un po’ come la storia della rana e dello scorpione: quella in cui lo scorpione punge la rana sulle cui spalle sta attraversando lo stagno nonostante questo lo condanni a morte certa. “Perché mi pungi,” – gli chiede la rana – “così moriremo entrambi”. E lo scorpione: “Mi dispiace, rana, ma pungerti è nella mia natura“. Ecco, temevo proprio che nonostante la botta di fiducia, qualche bella testa si sarebbe messa nelle condizioni di farci presentare tutti collettivamente all’elettorato (che ci ha appena dato il 40,8% dei consensi), mostrando il PD litigioso, frantumato e diviso del luogo comune.

Detto, fatto. Oggi, proprio mentre rappresentavo il governo nell’aula al Senato, si è alzato un Senatore e ha dichiarato che ben 13 colleghi si autosospendevano dal gruppo del PD per protesta contro lo sostituzione di Corradino Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali, in cui si discute la riforma del Senato. Commissione nella quale lo stesso Mineo – che vi partecipa in sostituzione di Marco Minniti, che è al governo – ha il voto decisivo per bloccare le riforme. Quelle riforme approvate dal Congresso del Pd, dall’Assemblea del Pd, dalla Direzione del Pd e dagli elettori del Pd. Ho quindi potuto assistere personalmente, (lo confesso: un po’ stranito ma – come ho detto – non troppo sorpreso) al tripudio degli altri partiti davanti a un harakiri pubblico di queste dimensioni.

Il tema è: si può sostituire un senatore perché la pensa diversamente dal gruppo? La risposta è: non è bello, ma lo si può fare. Lo si può fare perché in un partito esiste un principio maggioritario e una libertà di coscienza. Ma se la seconda può certamente limitare il primo, di certo non può cancellarlo. Per esempio, Mineo avrebbe potuto avere l’eleganza politica di consentire il voto della commissione ed esprimere poi legittimamente il suo dissenso votando in aula contro la riforma. Si tenga conto che tutte le commissioni del Senato hanno, per una questione di numeri, minoranze risicatissime. Se tutti facessero come Mineo, il lavoro nelle commissioni di Palazzo Madama sarebbe una specie di terno al lotto, legato agli umori del singolo senatore che quel giorno decide di far andar sotto il governo. Di un governo, aggiungo, fresco di un bagno di consensi plebiscitari che altro non sono che un’indicazione ad andare avanti sul proprio cammino.

Io penso che l’atto che si è consumato oggi al Senato sia molto grave, e che sia il segno dell’irresistibile richiamo della foresta di una sinistra settaria, minoritaria, isolata e perdente. Un modo come un altro per limitare l’ambito di operatività di un governo che ha suscitato speranze e aspettative che in Italia non si vedevano da anni. Alla fine, ci si assume la responsabilità politica dei propri atti, specie quelli adottati in sedi solenni come l’aula della nostra Camera alta. Alla fine, è a quel quarantuno per cento di elettori che i nostri 14 colleghi dovranno spiegare le ragioni del proprio gesto.

Ivan Scalfarotto

Deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri. È stato sottosegretario alle riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e successivamente al commercio internazionale. Ha fondato Parks, associazione tra imprese per il Diversity Management.