Non fermarsi a parlare con gli sconosciuti
Dalla nomina a sottosegretario ho un ufficio alla presidenza del Consiglio. Si trova in Piazza Colonna, a pochi passi da Montecitorio dove ancora – a causa del mio incarico ai rapporti col Parlamento – passo la gran parte della mia giornata. La breve distanza tra la Camera dei deputati e il mio ufficio è probabilmente il luogo più popolato di telecamere dell’intero Paese e, tra le tante, se ne distinguono alcune che sono al seguito di giornalisti o di conduttori televisivi il cui obiettivo è fondamentalmente soltanto quello di prendere in castagna il malcapitato parlamentare che dovesse trovarsi a tiro.
Li riconosci dal rumore: appena varcato il portone del palazzo, da dietro odi come il suono del battito delle ali di un grande pennuto. In realtà sono i passi di corsa ma di soppiatto del cameramen e dell’inviato che puntano sull’effetto sorpresa: ti si parano davanti e ti pongono alcuni imperdibili quesiti, nella forma del quiz della patente. Faccio qualche esempio tra quelli che mi sono capitati: si vota per il Presidente della Repubblica e ti chiedono di elencare i poteri del Capo dello Stato. Oppure: viene creata una nuova tassa e ti chiedono di tradurre l’acronimo del nome utilizzato per il nuovo balzello. Possono anche chiederti come ti troverai senza scorta ora che Renzi ha deciso di abolirle, oppure il perché i membri del governo risultino in missione e quindi non perdano la diaria se non votano in aula, quali siano le soglie di sbarramento della nuova legge elettorale, o se il PD non abbia per caso un problema morale al suo interno, dato che la Camera ha ricevuto la richiesta di arresto per un deputato democratico.
La cosa che non mi piace particolarmente è che questi professionisti della televisione (non credo siano inviati da testate giornalistiche, si tratta spesso di programmi di info-tainment) hanno come unico compito quello di dimostrare che i politici sono o incapaci, o disinformati, o parassiti o – possibilmente – tutte e tre le cose insieme. E infatti, se rispondi bene alle domande, è garantito che non andrai in onda. La cosa non mi dispiace tanto per me: in fondo, ho preso 30 e lode a Diritto Costituzionale e conosco bene le prerogative del Capo dello Stato così come conosco a menadito le soglie della legge elettorale (ci vuole pure una certa sfortuna a interrogare sulla materia proprio il sottosegretario competente per materia). Aggiungo che non mi farà male perdere la scorta che, fortunatamente, non ho mai avuto e che quando non ho saputo rispondere sul significato della sigla “Tares” ho spiegato che non avevo letto i giornali della mattina perché ero appena tornato dai funerali di mio padre. La sfortunata intervistatrice non si è sentita di mandare in onda se stessa in versione avvoltoio.
Quello che mi dispiace è che ci sia una così importante macchina messa in piedi per screditare una classe politica spesso mediocre e inefficiente, ma che non merita la cattiva fama generalizzata di cui gode in questo momento. Sono in Parlamento da un anno e, con l’esperienza di uno che per tanti anni ha valutato le professionalità altrui, posso dire che tra i miei colleghi ci sono tante persone molto capaci, molti giovani armati di curiosità intellettuale e sincera motivazione, talune persone davvero eccellenti. Aggiungo che comunque non è dalla risposta a un quiz-rigore che dovrebbe valutarsi la bontà del lavoro di un parlamentare (non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore). E dico pure che la nostra politichetta negli ultimi tempi ha fatto un sacco di sforzi per migliorarsi: dall’aumento vertiginoso delle donne parlamentari e ministre, alle riduzioni dei costi, a un governo che finalmente prova a portare a casa risultati di cui si parla a vuoto da vent’anni. Tutte cose che cerco di spiegare, invano temo, a questi gentili inviati che mi fermano quotidianamente tra Montecitorio e Piazza Colonna.
Penso che dopo questo post smetterò di farlo, tirerò dritto. Doveste vedermi in televisione, ora che avete letto questo post sapete il perché.