Dire di no
Quando vieni posto davanti a una discriminazione puoi fare due cose: calare il capo o dire di no.
Quando il conducente dell’autobus le disse di cambiare posto, Rosa Parks avrebbe potuto portare ancora una volta pazienza. E invece disse di no, che lei sarebbe rimasta seduta in quel posto, perché la stanchezza delle sue gambe era uguale e identica alla stanchezza di qualsiasi altro passeggero di quell’autobus. Non cambiò posto e nel suo restare seduta affermò un principio che non valse solo per sé, ma per tutti quelli come lei.
Quando sono diventato deputato, mi è stato spiegato che ero sì un parlamentare, ma un pochino meno degli altri. Le mie prerogative erano quelle degli altri, meno qualcosa. Avrei potuto dire pazienza, risolvere in altro modo. E invece ho deciso di no. Ho deciso di chiedere che un parlamentare omosessuale non potesse che essere uguale a un parlamentare eterosessuale. Come ogni cittadino omosessuale dev’essere uguale, in ogni circostanza, a un cittadino eterosessuale.
Questo era il mio compito, in rappresentanza dei milioni di cittadini italiani gay, lesbiche, bisessuali e trans (e non solo loro, perché i diritti violati di una minoranza sono i diritti violati di tutti): non calare la testa e non accettare di essere considerato uno inferiore ai miei pari. La polizza sanitaria estesa (a spese del parlamentare e senza aggravi di costo per l’erario) alla famiglia dei deputati gay e lesbiche è un precedente per il futuro.
Ogni cittadino o cittadina omosessuale che in futuro dovesse diventare parlamentare, sarà riconosciuto uguale in dignità rispetto ai suoi colleghi.
Mi si dice: ma non hai fatto altro che accettare l’estensione di un beneficio che non è riconosciuto alla generalità dei cittadini. Vero. Però mi pare veramente specioso l’approccio di chi, per tagliare i costi della politica, pensi di cominciare (guarda un po’) proprio dall’assistenza sanitaria dei soli parlamentari gay.
Se il tema è che i parlamentari guadagnano troppo, se debbano avere una polizza sanitaria o meno, questo è un problema distinto e separato che deve riguardare tutti i parlamentari. Chi pensa di cominciare con me, Zan o Lo Giudice sta in realtà dicendo che la nostra parità è un costo che non vale la pena sostenere. Perché questi diritti dei gay, diciamolo, in fondo sono un lusso. In momenti di crisi, vorremo mica occuparci anche di questi gay?
La Camera dei deputati, non il circolo del tennis, ieri ha affermato per la prima volta un principio sin qui negato: la piena uguaglianza tra i propri componenti, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Questa è la notizia. Ora, per coerenza, deve affermare la stessa cosa per tutti i cittadini. E il passo di ieri è una tappa importantissima in quella direzione.