Dalla Camera
Approfitto dell’attesa del mio turno di votazione per spiegare dall’interno cosa sta succedendo qui. Nelle prime tre votazioni è necessario raggiungere i due terzi dei suffragi, e dunque arrivare a 672 voti, che è una soglia molto elevata. In queste tre votazioni in campo si collocano un attacco e una difesa: l’attacco è composto da chi ha fatto l’accordo su un nome e la difesa da chi quell’accordo non vuole si realizzi. La preferenza espressa da chi gioca in difesa è praticamente irrilevante, perché ogni altro nome nelle prime tre votazioni non ha alcuna possibilità di essere eletto. In pratica, nei primi tre turni di voto, e in particolare nel primo, il voto sarà un referendum su Marini. O per lui, o contro di lui. Votare Rodotà, Bonino o bianca è praticamente la stessa cosa: dato che nessun altro può arrivare alla quota dei due terzi, qualsiasi opzione ha il solo fine di impedire che Marini raggiunga il fatidico seicentosettantaduesimo voto. Chi gioca in difesa, dunque, ha il solo obiettivo di giungere al quarto scrutinio. In quella sede il Presidente della Repubblica si elegge con la maggioranza del 50% più uno dei voti, si riparte da zero e a quel punto i giochi si riaprono con maggiori probabilità per tutti i candidati.