La prigione di Angelo Rizzoli, e le prigioni
Questa mattina sono stato molto colpito dall’articolo sulla vicenda di Angelo Rizzoli, firmato da Corrado Zunino sulla prima pagina di Repubblica. Rizzoli è ricoverato nel padiglione penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini di Roma dal 14 febbraio, in custodia cautelare, per bancarotta fraudolenta. Il problema è che Rizzoli è in condizioni di salute molto precarie a causa di una sclerosi multipla da cui è affetto da quando era ragazzo, malattia che gli ha procurato una serie di complicazioni come il diabete, da cui sono derivati l’insufficienza renale e un infarto.
Finito di leggere l’articolo ho pensato che la politica non può limitarsi a votazioni, scazzi personali e tagli di spese di rappresentanza. E mi sono ricordato che da 5 giorni, in quanto parlamentare, posso visitare le carceri di questo nostro paese. Carceri che, come ha ben ricordato la nostra presidente Laura Boldrini nel suo discorso d’insediamento, sono luoghi in cui i detenuti vivono in condizioni spesso disumane e degradanti.
Così ho preso la metro fino a Tiburtina e poi un taxi fino al Pertini. Ho suonato al campanello del padiglione penitenziario, mi sono qualificato e mi hanno aperto. Sono stato accolto da un agente estremamente cortese che mi ha chiesto il tesserino di parlamentare – che non apre evidentemente solo le porte delle tribune VIP degli stadi, come pare di capire dai giornali in questi giorni -, mi ha fatto lasciare le mie cose in un armadietto e mi ha condotto a fare un giro per la struttura.
È un ospedale. Un ospedale con i cancelli alle porte delle stanze, ma pur sempre un ospedale. Ci sono 15 pazienti detenuti, uomini e donne. La particolarità è che non sono concentrati lì per tipo di malattia, come avviene negli altri reparti, ma sulla base della loro condizione personale di detenuti. Sono poi gli specialisti a ruotare a seconda delle patologie dei degenti. L’ospedale è pulito, le stanze grandi. In ogni stanza un solo paziente. Le sbarre, manco a dirlo, alle finestre.
Quando siamo arrivati davanti alla stanza di Rizzoli, hanno aperto il cancello blu con una pesante chiave dorata. Sono entrato e mi sono presentato. “Dottor Rizzoli, come sta? Sono Ivan Scalfarotto”. Mi ha detto che mi conosceva, mi ha fatto le congratulazioni per l’elezione. Mi ha invitato a sedere. Gli ho detto che avevo letto la sua intervista sul giornale di questa mattina e mi ha guardato strabuzzando gli occhi, perché non aveva rilasciato alcuna intervista. E poi non può leggere i quotidiani. Così abbiamo ricostruito, come del resto Zunino dice anche nel testo del suo articolo, che in realtà il testo è stato il frutto della conversazione che Rizzoli ha avuto con il garante dei diritti dei detenuti, Avvocato Angiolo Marroni.
Abbiamo parlato per una mezz’ora. Rizzoli è allettato per ventiquattro ore al giorno, paralizzato da tutto il lato destro. Viene messo su una sedia a rotelle per qualche decina di minuti al giorno, ma non può muoversi perché non può far girare la ruota col braccio destro che non funziona. Non può alzarsi perché non può avere un bastone a disposizione a causa del regolamento carcerario che, ovviamente, non lo prevede. Per fortuna non ha problemi di decubito perché il materasso è quello giusto. Il tema è che le condizioni della sclerosi multipla si aggravano se non viene fatta un’apposita fisioterapia, che in una struttura penitenziaria non può essere fatta. E anche le condizioni dei reni stanno peggiorando.
L’ho trovato sereno, dice che lo trattano bene. Non me ne sono stupito, davvero la struttura e il personale mi sono sembrati efficienti e professionali. Però mi ha detto anche che nei quaranta giorni in cui è stato ricoverato, dal giorno dell’arresto, è stato interrogato solo una volta, e frettolosamente.
Ora io non sono né un giudice né un medico. Ma mi ha fatto impressione vedere un uomo di quell’età e in quelle condizioni di salute essere rinchiuso in una struttura carceraria. Per la mia mente, per la mia coscienza, per la mia lontana ma amatissima formazione giuridica, la libertà personale dovrebbe essere qualcosa di cui non essere privati mai, salvo che non sia assolutamente indispensabile. Con gli occhi del profano, e senza voler entrare nel merito, non posso non dire che la situazione di Angelo Rizzoli mi è sembrata abnorme. L’attesa di 40 giorni per un interrogatorio che confermasse la necessità di lasciarlo dov’è ora, mi è sembrata troppo lunga. Ho la massima fiducia nel lavoro dei giudici, ma devo dire che non sarei stupito se a Rizzoli fossero riconosciuti rapidamente almeno gli arresti domiciliari. A me non pare, in tutta coscienza, che la situazione sia sostenibile ancora molto a lungo.
Concludo questo post anticipando subito l’osservazione di chi mi dirà che anche Rizzoli è uno della casta e io sono andato a trovare un riccone e non un povero Cristo. Negli ultimi giorni mi è già stata rimproverata la simpatia (nel senso tecnico dell’immedesimazione) con Giusy Versace, priva delle gambe, perché di cognome si chiama Versace e quindi (testuale) “lei sì che può permettersi venti protesi”. Poi ho sentito criticare Laura Boldrini perché figlia di buona famiglia e raccomandata e, si sa, i raccomandati si fanno mandare di corsa in Ruanda a occuparsi di profughi. Oggi non mi stupirei di essere rimproverato per essere andato a trovare un ex editore dal nome importante.
Rispondo dunque che mi piacerebbe essere dovunque si possa sollevare un problema. E se il problema si può affrontare andando a trovare Angelo Rizzoli, io ci andrò tutte le volte che serve. Così come non mi farò togliere la grazia di sentirmi ispirato dalla gioia di vivere di Giusy Versace. E non smetterò di commuovermi pensando che Laura Boldrini è la Presidente della Camera. Indipendentemente da chi sono e da dove vengono. Perché spero in mondo migliore e non mi farò fregare dall’incazzatura generale che sento intorno a me. Che è legittima, per carità, ma non è un terreno sul quale partire per ricostruire.