Superare Livorno
Mi si chiede quale sia la mia opinione sulla questione regole e ballottaggio. È molto semplice. Al di là dei tecnicismi la questione è, secondo me, la seguente: il dibattito, bello e ricco, cui Bersani e Renzi hanno dato vita su Rai1 è stato visto da quasi 7 milioni di persone, più del doppio dei votanti al primo turno. Ammettiamo che una quantità di questi telespettatori siano stati convinti da questo dibattito a votare PD e abbiano deciso di schierarsi, magari per Bersani, e che vogliano votare. Cosa facciamo? Li mandiamo via? E con quale faccia, mi permetto di domandare, andremo poi a chiedere a quelle stesse persone di votare PD nel mese di marzo? Le primarie sono una festa di partecipazione: dobbiamo dunque invitare alla partecipazione, non il contrario.
A questi miei rilievi, politici e sostanziali, si risponde solo con elementi di forma. «Le regole concordate si rispettano» oppure «Renzi vuole regole ‘ad personam’, proprio come Berlusconi». Visto che mi si tira per i capelli su questo discorso, seppur malvolentieri risponderò. Il tema è che le regole di queste primarie non sono mai state concordate da Renzi o dal suo comitato. Il 6 ottobre l’Assemblea Nazionale ha dato mandato al segretario Bersani di rappresentare il PD al tavolo degli alleati. Sulle regole Renzi non ha potuto dire assolutamente nulla, nemmeno su quelle più incomprensibili come la sottrazione del voto ai sedicenni: «Non votano alle politiche», si è detto. Salvo poi far votare gli stranieri che pure alle politiche non votano.
Sul ballottaggio si può andare a risentire quello che disse Enrico Letta (il video è qui sotto) a quell’assemblea: «Non metteremo il filo spinato ai seggi per impedire il voto a chi non ha votato al primo turno». Oppure: «Il vincitore delle primarie dovrà essere determinato dal consenso non dalle regole». Su queste dichiarazioni di Letta i sostenitori di Renzi decisero di votare la delega a Bersani per la stesura delle regole. E invece a me pare che il filo spinato sia stato dipanato intorno ai seggi, eccome. In Italia si può autocertificare per legge quasi tutto, ma per votare al ballottaggio bisogna convincere, all’unanimità, i componenti del solo e unico ufficio elettorale creato in ogni provincia (e quindi andare, per farlo, da Pontebba a Udine o da Vieste a Foggia) di non essere dei malfattori infiltrati desiderosi di boicottare le primarie.
Il dato politico non cambia. Io cedo che un governo Renzi sarebbe più popolare, coeso e innovatore di un governo Bersani e voto di conseguenza. Credo anche che le cose siano cambiate comunque, e per sempre. Mercoledì sera a Rai1 abbiamo visto in quei due leader tutto il PD. Un’anima più tradizionale e una più innovativa, una più socialista e una più liberal, una più riflessiva l’altra più ispirata. Battista scriveva ieri sul Corriere che la pochezza della nostra destra costringe la sinistra a giocare entrambi i ruoli dello scacchiere politico. Sono radicalmente in disaccordo da lui. Bersani e Renzi non esauriscono la destra e la sinistra in Italia ma incarnano nello stesso partito, per la prima volta in Italia, tutte le anime della sinistra. In qualche modo, direbbe da Torino la mia amica Ilda Curti, a più di vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino ci stiamo avviando finalmente almeno a superare la scissione di Livorno (e il relativo muro nella testa degli italiani, ancora in piedi da quasi un secolo).
Succede in tutti i partiti progressisti del mondo e non dobbiamo preoccuparcene: il monolitismo erede del centralismo democratico non c’è più e queste due anime si avvicenderanno al comando del partito, combattendosi in modo magari duro ma – si auspica – trasparente. Mettendo i nostri elettori davanti a una scelta tra diverse idee e non a una scelta tra due persone. Una svolta che a me pare storica e che è tutto il contrario del personalismo di cui, chi non ha altri argomenti che quello, accusa Matteo Renzi.