Io sto con Matteo Renzi
Credo che l’Italia abbia bisogno di speranze, di tornare a credere in se stessa, di convincersi che ha in sé tutte le energie per uscire fuori dalla situazione in cui si trova. La politica per me è tutto il contrario di quello che vediamo in questi giorni. È impegno civile, energia e lavoro messi a disposizione di un’idea di paese. E il lavoro in un grande partito è il modo più efficace per proteggere la democrazia e le istituzioni.
Penso che il PD sia stata un’idea rivoluzionaria per la sua grandezza, che si è in parte rinsecchita e rinchiusa in se stessa strada facendo. Ha lasciato la sua ambizione di parlare all’intero Paese e ha a tratti adottato, con la crisi, il ruolo della parte in un conflitto. La mia idea è che le primarie siano una splendida occasione: non per dividersi in mille rivoli di appartenenze ma per parlare alle tante Italia che guardano a noi con speranza e dimostrare di quante buone idee siamo capaci.
Ho provato in questi anni a costruire ponti. Mi diverte assai di più trovare ciò che mi unisce ai miei compagni di lavoro, anche quelli dalle posizioni più distanti, da ciò che da loro mi divide. Ho sempre cercato vie che fossero immediatamente comprensibili. Come nel traffico, anche in politica la prima misura di sicurezza è quella di fare sempre manovre prevedibili per chi è dietro di te.
È per tutte queste ragioni che ho deciso di dare una mano a Matteo Renzi alle prossime primarie.
Matteo rappresenta plasticamente in questo momento quella proposta di innovazione per la quale ho lavorato, insieme a tanti altri, per molti anni. E oggi è la persona più in grado di raggiungere quell’obiettivo. Il rinnovamento non è una parola vuota: se si può innovare significa che il sistema è contendibile e aperto; se le chiavi dell’armadio passano di mano, nessuno può costruirsi uno scheletro, in quell’armadio.
Rinnovamento è leggere il proprio tempo con gli occhi di chi lo vive. Comprendere che parole quali Europa, donne, informazione, lavoro, famiglia hanno un senso completamente diverso oggi da quello che rivestivano venti o trenta anni fa. E che quando usiamo quelle parole, quando su quelle parole costruiamo politiche e leggi, ci riferiamo a realtà che si sono profondamente modificate.
Renzi rappresenta poi una linea economica che è quella che sento più mia. Il PD ospita in sé, com’è giusto e normale per un grande partito occidentale, anime diverse. Oggi, l’anima riformista nel nostro partito è in sofferenza e il programma di Renzi – perché esiste: basta leggerlo – è un programma schiettamente riformista, che parla senza equivoci a tutti i riformisti.
Ridurre il debito pubblico anche attraverso significative dismissioni, sostenere scelte strategiche per la crescita individuando il modo di finanziarle in modo rigoroso, parlare di merito, semplificare, rendere l’Italia un luogo attraente per gli investimenti stranieri, accettare l’ineluttabilità della riforma delle pensioni e la necessità di regole semplici e universali per il mercato del lavoro non sono posizioni di destra. Sono strumenti diversi e nuovi, rispetto a quelli tradizionali, per raggiungere obiettivi di sinistra: equità, dignità, una società nella quale ciascuno possa sostenere le proprie aspirazioni.
Renzi, poi, parla alle persone dentro e fuori dal partito. Io non credo sia una minaccia: credo sia una fortuna. Per troppo tempo abbiamo considerato l’elettorato italiano più simile a una tifoseria legata a una maglietta da un rapporto di fedeltà simile a una fede che a una moltitudine di adulti in grado di formarsi un’opinione e di mutare quell’opinione nel tempo, se messi davanti a buone proposte.
Soprattutto in un momento in cui la politica è così priva di credito, poter rafforzare una voce che ha la capacità di essere ascoltata al di là degli steccati, quelli ideologici e quelli di partito, mi pare una grande opportunità per chi, come me, pensa che la politica sia una delle attività più nobili e alte che sia dato di intraprendere. E che la politica debba continuamente lasciarsi giudicare e contaminare dal mondo che la circonda, senza averne paura.
Qualcuno mi farà sicuramente notare che Renzi proviene da una cultura politica diversa dalla mia, e che le sue posizioni in tema di diritti civili non sono sempre state in linea con le mie. Il fatto oggi è che il programma di Renzi adotta le civil partnership, in modo ancor più netto di come descritto nella carta degli intenti del partito. Mi basta? No. Io resto per il matrimonio. Così come non mi bastano le posizioni di Renzi sulle adozioni, specie dopo le dichiarazioni recentissime di Giuliano Pisapia.
Ma io credo che in politica sia doveroso semplificare, trovare il tratto comune, e poi lavorare per cambiare. Persuadere, spingere. E anche ascoltare, però, senza pretendere di aderire soltanto a chi la pensa su tutto al 100% come te. Del resto è per questo che abbiamo fondato il Partito Democratico scommettendo sulla sintesi tra culture, percorsi e storie diverse.
Ed è per questo che mi sono sforzato in questi mesi di convincere molti compagni e compagne di strada, quelli con cui ho fatto un lungo percorso in questi anni, ad unirsi a quello tra di noi che mi pare oggi nelle migliori condizioni per incidere nella realtà nel senso che insieme abbiamo sempre auspicato. A superare le differenze e le legittime aspirazioni per costruire un gioco di squadra che rispondesse alle attese di chi in tanti anni ha riposto in noi le proprie speranze, le proprie aspettative. Non mi è particolarmente riuscito, ma mi consolo pensando che queste primarie siano solo una tappa di un cammino che non potrà che restare condiviso.
Mi piacerebbe che la politica diventasse un’attività più ispirata alla logica di ciò che ci pare giusto invece che soltanto a ciò che ci pare utile. In fondo sta semplicemente in questo la ragione della mia scelta di oggi, che resta una scelta di impegno per il nostro Partito e per il nostro Paese.