Un grave errore politico: i brillantini
La posizione del Pd sui diritti degli omosessuali assomiglia da vicino al proverbiale bicchiere riempito a metà. Mezzo vuoto se si guarda alle deliberazioni ufficiali: nel 2012, da un partito progressista occidentale, non ci si dovrebbe aspettare che il matrimonio e nient’altro che il matrimonio. Mezzo pieno invece dal punto di vista del percorso politico, posto che oggi il Pd non sta più discutendo se sia il caso di fare una legge sulle coppie omosessuali ma quale legge fare.
Non era certo così 5 anni fa, alla fondazione del partito: se quest’evoluzione c’è stata, il merito non può che andare a chi ha indefessamente lavorato in questa direzione. Coloro che hanno spinto da posizioni “europee” per educare il partito, ma anche coloro che, da posizioni differenti, hanno provato a mettersi in una posizione – magari anche critica – di ascolto. È per questo che non mi associo al tiro al bersaglio in corso nei confronti di Rosy Bindi: né quello verbale né quello a base di riso e brillantini messo in scena a Bologna, che ritengo essere stato un errore politico grave.
Rosy Bindi ha posizioni sul tema delle coppie gay sulle quali io dissento radicalmente: le sue letture dell’articolo 29 e della sentenza costituzionale 138/2010, per esempio, sono a mio avviso errate tecnicamente in modo tombale. Ma ritengo assolutamente superficiale la semplificazione che fa di lei il nemico assoluto e l’obiettivo principe delle nostre contestazioni. La considero, anzi, una pedina fondamentale sulla strada della realizzazione della piena parità per le persone Lgbt in Italia. Bindi è donna di dialogo, che non si sottrae, che anzi nemmeno utilizza la malizia che ci si attenderebbe da un personaggio politico navigato come lei per evitare a priori un argomento che le è oggettivamente dannoso in termini di immagine. Se oggi si parla di questioni Lgbt nel nostro partito e in Italia lo si deve anche alla sua odierna (sovra)esposizione sull’argomento e all’atto di grande coraggio che fece a suo tempo sui DiCo, strumento inadeguato e insufficiente, ma pur sempre la breccia in una diga per cui nessuno ha mai espresso alcun riconoscimento.
Manifestazioni come il glitter bombing (o quella massimamente intrusiva dell’outing, anche non maldestro e dilettantesco come quello tentato in Italia qualche mese fa da un anonimo sito internet) non si giustificano se non eventualmente come strumenti di pressione estrema fatta nei confronti di persone che hanno prodotto danni gravissimi alla comunità Lgbt. Gente come Rick Santorum, diceva ieri il direttore Menichini, o, dico io, come i tanti politici di ogni schieramento che nella migliore delle ipotesi considerano i temi civili come pura cosmetica politica e che si rischia di legittimare come interlocutori al posto della Bindi. Con quali esiti, non è dato sapere.
Sono atti di contestazione che vanno manovrati con cautela estrema perché polarizzano lo scontro e chiudono i canali di comunicazione nei confronti degli indecisi, quella parte della popolazione che è esattamente l’obiettivo dell’azione politica di una comunità Lgbt matura e consapevole delle proprie ragioni. Alla festa democratica di Torino un gruppo di persone Lgbt guidate da Daniele Viotti ha dato luogo all’iniziativa “Vorrei ma non posso”, intervistando e postando su YouTube piccole ma puntute interviste ai leader Pd sul tema del matrimonio negato alle coppie gay e lesbiche in Italia.
Davanti alla logica evidente e alla forza di quelle domande Bindi – come anche Bersani e D’Alema – è stata sfidata molto più efficacemente che da qualsiasi clamorosa manifestazione di protesta. Chi abbia visto quei filmati ha sicuramente avuto molte più ragioni per schierarsi dalla parte degli oppressi dagli spettatori del glitter bombing bolognese. «Inutile mettersi a gridare quando i tuoi argomenti gridano per te», ha detto una volta qualcuno: il folklore e la contestazione, specie se fuori target, ottengono l’effetto di convincere ancor di più chi è già convinto delle nostre ragioni ma al prezzo di alienarsi quella maggioranza silenziosa senza la quale mai gay e lesbiche italiani otterranno i diritti che, in una democrazia matura, dovrebbero essere loro riconosciuti senza ulteriori ritardi.