Notizie che non lo erano
Quest’oggi “Io Donna”, il settimanale femminile del Corriere della Sera, si occupa di me: pare che il PD, dopo aver usato per anni in malo modo le donne, ora avrebbe cominciato a usare anche i gay. Tutti i gay del PD? No, me in particolare. A scriverlo è Maria Teresa Meli, la notista politica del Corriere della Sera, che non ho mai sentito ma che avevo conosciuto l’anno scorso a Francoforte al matrimonio di Paola Concia, di cui Meli è stata testimone di nozze.
Ebbene che cosa dice Meli? Che Rosy Bindi avrebbe utilizzato niente meno che una mia lettera per ottenere l’approvazione del documento che la Commissione Diritti da lei presieduta era riluttante a far proprio. In pratica gente come Aldo Schiavone, Claudia Mancina, Luigi Manconi, Vittorio Angiolini e gli altri illustri filosofi, storici, giuristi e politici che hanno lavorato per un anno su quel complicato testo avrebbero alzato le mani davanti alla mia benedizione. In cambio, ne avrei ottenuto un seggio in parlamento per la prossima volta. Se le cose stessero così altro che seggio parlamentare. Mi meriterei di diventare il segretario del partito, visto che sarebbe opera mia il miracolo della sintesi tra laici e cattolici nel PD.
Ma perché, uno si chiede, Bindi avrebbe sfoderato improvvisamente l’arma segreta costituita dalla mia lettera? Secondo Meli per stoppare le fughe in avanti di Bersani. Con il mio scritto, infatti, avrei bloccato le iniziative pro-unioni civili del segretario e rimesso le lancette sui vecchi DiCo, quelli sì, dice la giornalista, accettabili per la Bindi.
Non ha nemmeno letto la mia lettera Meli, la cui fatica letteraria firmata con Paola Concia è proprio in questi giorni in tutte le librerie italiane, e deve essersi quindi basata sulle informazioni ottenute da qualche sua conoscenza all’interno del partito. Se Meli mi avesse telefonato per verificare le sue fonti o avesse utilizzato un minuto per andare sul mio blog, avrebbe infatti letto che io del documento ho approvato le parti contro la tortura e sulla libertà di stampa, per esempio, ma precisamente non la parte sulle unioni gay. E l’ho fatto perché la mia posizione non è favorevole né ai DiCo della Bindi né alle Unioni civili sostenute da Bersani e da Paola Concia, che ha avviato in questi giorni una raccolta di firme per sostenere una legge di iniziativa popolare non sul matrimonio ma sulle unioni civili.
La mia posizione è invece che in linea di principio il punto di partenza debba essere uno e uno solo: il matrimonio per tutti, gay e lesbiche inclusi, esattamente in linea con quello che vedremo accadere a Parigi già dal prossimo anno. La trattativa non può che partire da lì, altrimenti non vedremo mai nemmeno le unioni civili. Non sono sicuro che questa mia posizione mi garantirà un seggio in parlamento, e francamente non me ne do pena. Come tutti sanno io ho il lusso di poter difendere i diritti dei miei concittadini – e non solo quelli gay, perché non mi intendo come altri soltanto di questo – perché ho il mio lavoro e ho dunque la serenità necessaria per sostenere le cose che penso senza compromessi e senza colpi bassi.
Se fossi in Maria Teresa Meli comincerei dunque a chiedermi chi dei due tra me e lei, e da chi, è stato usato in questa vicenda.