Il decalogo della classe politica che abbiamo da vent’anni
Il motivo per cui non mi è piaciuto per niente che Fassina abbia dato del “portaborse” a Renzi non è soltanto che in Italia a non essere stati portaborse siamo in pochissimi e dunque usare la parola come oggetto contundente pare francamente ridicolo. Come due vescovi che si offendessero a vicenda dandosi del parroco.
E nemmeno mi è dispiaciuto soltanto perché vorrei vedere più fair play, correttezza e rispetto nel partito in cui milito e per il quale gratuitamente lavoro.
Il punto è che qui siamo tutti a discettare di ricambio generazionale senza capire che la generazione che ha in mano la politica da vent’anni ha sempre disciplinatamente rispettato un semplice decalogo.
Provo a declinarlo in un linguaggio comprensibile ai giovani, vediamo se ci capiamo.
1. Il campetto è nostro, e la palla la teniamo noi.
2. La palla ce l’ha una volta uno di noi, un’altra volta un altro di noi. Ma nessuno all’infuori di noi.
3. Ce le diamo di santa ragione, ma smettiamo subito se qualcuno si avvicina al campetto.
4. Se qualcuno si avvicina troppo al campetto, mettiamo la palla al sicuro e gli meniamo tutti insieme.
5. Ci meniamo di brutto tra di noi soltanto quando nessuno ci vede. Così siamo più temuti nel quartiere.
6. Se qualcuno dice in giro che ci ha visto menarci, smentiamo.
7. A chi non crede alla smentita, gli meniamo.
8. A quelli piccoli non gli meniamo. Si menano da soli.
9. I piccoli si menano spesso tra di loro, e va bene.
10. Se va avanti così, noi continuiamo a giocare per un bel po’.