La cosa peggiore che potrebbe fare il PD
La cosa peggiore che potrebbe fare il PD a questo punto sarebbe interpretare il buon dato del voto amministrativo come un invito alla continuità. Come a dire: tutto va bene, quindi procediamo come se nulla fosse. C’è un desiderio profondo di rinnovamento in questo paese e il PD si trova davanti a una scelta: o mettersi alla guida di questo cambiamento, costruendo anche sul buon risultato elettorale, o correre il serio rischio di soccombere. Questo significa fare principalmente due cose: uno, ascoltare la richiesta di pulizia e di responsabilità che viene dal paese. Due: rinnovare in modo radicale il gruppo dirigente.
Costi della politica, riforma elettorale, nomine trasparenti. Su questi temi il PD dovrebbe assumere una leadership assoluta, prendendo posizioni che siano nette e in nessun modo equivocabili da parte dell’opinione pubblica. D’altro lato è assolutamente indispensabile che il rinnovamento del gruppo dirigente, che Bersani ha in qualche modo già avviato ma che risulta ancora in larghissima parte invisibile agli italiani, si completi. Le due cose sono strettamente connesse, perché un desiderio di riforma della politica può avere credibilità solo se cammina sulle gambe di un gruppo dirigente non compromesso con il passato. Né per ragioni anagrafiche, né per contiguità ideale e metodologica.
Io non sono tra quelli che chiedono necessariamente le primarie prima delle elezioni. Mi pare che in questo momento il problema, prima ancora di individuare un candidato alla presidenza del consiglio, sia quello di costruire intorno a quel candidato una leadership diffusa e autorevole. Che il candidato premier fosse Bersani o un’altra persona, il problema resterebbe quello di sapere se il PD si candiderà a cambiare questo paese con la squadra del 1996 e se questa proposta politica possa essere ritenuta credibile dagli italiani. Questo tema dovrà essere spiegato da Bersani al paese, prima ancora che al partito.
Del resto una nuova classe dirigente, nel partito democratico e tra i progressisti italiani, già ci sarebbe. Fino ad oggi non è stata forse particolarmente capace di giocare in squadra, condizionata da un sistema di cooptazioni che ha incoraggiato più la lealtà ad questo o a quel capocorrente che la creazione di una rete solidale e forte di intelligenze e di volontà. Oggi io credo che la difficile fase in cui ci troviamo imponga a tutti uno sforzo di coraggio e di generosità. Il coraggio di farsi avanti per assumersi una responsabilità e la generosità di comprendere che la sfida è tale da poter essere vinta soltanto lavorando insieme nel superiore interesse del paese.