Un misterioso crocifisso

Verso la fine di È stata la mano di Dio, il film di Paolo Sorrentino, si vede un crocifisso. Questo crocifisso spicca al centro di un vasto muro scrostato. Il crocifisso non è un elemento particolarmente significativo, ma è utile a descrivere un certo tipo di contesto, di ambiente. Guardavo lo schermo in uno stato di sogno e sospensione – il film è bellissimo – e quel crocifisso desolato di colpo mi ha spinto a pensare a un altro crocifisso, apparso dal nulla nel quartiere Isola, a Milano. È una storia sulla quale c’è pochissimo da dire, in realtà, perché nessuno sa nulla sul conto e sul perché di quel crocifisso, che di fatto è un mistero.

Il crocifisso è comparso all’improvviso su un muro di Piazzale Archinto tra la fine della primavera e l’inizio della scorsa estate. Non credo esistano altri muri a Milano con un crocifisso appeso a un chiodo. Piazzale Archinto era stato riaperto da poco, dopo un cantiere durato più di un anno. Grazie ai lavori di ristrutturazione, la piazza è diventata interamente pedonale e la sera ha cominciato a riempirsi di gente fino alle due e alle tre di notte. Piazzale Archinto è così diventata, molto più di quanto non lo fosse già in precedenza, un luogo della movida, dove si beve, si formano capannelli fino a tarda notte e dove non manca mai la musica, grazie a qualche altoparlante bluetooth. Di conseguenza succede che spesso, nel cuore della notte, all’improvviso esplode la cassa di un brano techno. I residenti hanno iniziato a protestare sui gruppi di quartiere. C’è chi ha iniziato a misurare il rumore con un fonometro. Ogni tanto scoppia una rissa. Alla fine di maggio due ragazze, utilizzando il centro della piazza come una ribalta, forse per un video da caricare su qualche piattaforma a pagamento, si sono fatte riprendere svestite, mentre una sculacciava l’altra e la piazza intorno accompagnava con dei cori e filmava con le fotocamere. Dev’essere stato in quel periodo che qualcuno è arrivato con un martello, ha piantato un chiodo sulla parete esterna di un palazzo e ha appeso il crocifisso. Io credo che il gesto, nelle intenzioni di chi lo ha compiuto, avesse uno scopo di esorcismo, per scacciare dallo spazio e da chi lo frequenta gli influssi negativi della movida e della vita notturna, che proprio in quel periodo si stava rianimando dopo mesi di coprifuoco. Mi sembra un uso dei simboli religiosi non diverso da quello che è stato praticato in questi mesi nel corso di alcune manifestazioni No Vax, quando senza una ragione specifica sono spuntati alcuni cartelli con l’immagine della Madonna. Io credo si tratti, anche in questo secondo caso, di un uso esorcistico dei simboli, dove lo scopo è scacciare la negatività e il presupposto è che il mondo si trovi nel mezzo di una grande crisi morale e che sia prigioniero delle forze del male.

Il crocifisso ora si trova accanto all’ingresso di una pizzeria e a qualche metro di distanza dai tre bar molto frequentati affacciati sulla piazza. È molto visibile, stagliandosi in mezzo alla parete grigia, ma non è detto che tutti, passando, ci facciano caso. In realtà, a volte sembra che nelle città nessuno faccia più caso a nulla. Il crocifisso è fragile ed esposto. Chiunque potrebbe prenderlo e rimuoverlo da dove si trova con un semplice gesto della mano, ma nessuno lo ha ancora fatto, probabilmente in virtù di un legame magico che disciplina il nostro rapporto con i simboli religiosi o forse a causa di un rapporto con la religione che oggi è segnato da una assoluta indifferenza. Un giorno, per curiosità, ho tolto il crocifisso dal chiodo, per verificare che non fosse assicurato al muro con altri accorgimenti, poi ho rimesso il crocifisso al suo posto, sentendomi un po’ a disagio. Sul momento mi è sembrato molto leggero e ho avuto paura che potesse cadermi di mano e spezzarsi. Poi ho pensato che chi ha attaccato il crocifisso con un semplice chiodo, in qualche modo deve aver confidato nel fatto che difficilmente qualcuno avrebbe preso l’iniziativa di rimuoverlo.

Il crocifisso insiste nella sua presenza da mesi e mesi. È lì, di giorno e di notte. Sotto gli acquazzoni di novembre e nella canicola di agosto. Durante il weekend, proprio davanti al crocifisso muto vengono consumati centinaia di cocktail distribuiti in bicchieri usa e getta e quando la piazza si svuota del tutto, verso le quattro del mattino, di fronte al crocifisso resta un grande tappeto di plastica frantumata, di mozziconi e di bottiglie vuote sparse per tutta la piazza, fino a quando, con le prime luci del giorno, non arrivano i furgoncini della nettezza urbana a spazzolare la pavimentazione. Il crocifisso è stato un testimone dei festeggiamenti e degli inni di Mameli cantati a squarciagola a luglio per la vittoria agli Europei di calcio e poi della solitudine delle domeniche deserte di agosto. Ieri notte, attraversando la piazza intorno alle due, il crocifisso era, come sempre, al suo posto, illuminato dalla luna, privo di parola, immobile, ma sempre attivo nella sua funzione di custodia e protezione del luogo. Fra le persone che vivono e frequentano la zona, nessuno sembra sapere chi, quando e perché ha deciso di appendere il crocifisso. E forse non interessa neppure. Non mi risulta se ne sia parlato nei gruppi di quartiere. Passando per piazzale Archinto, continuo da mesi a pormi le stesse domande, ma sono domande così sfuggenti, e difficili, che dovendo provare a scriverle, ora, non riesco a formularle.

 

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).