La cravatta e la pazienza di Battiato

La cravatta indossata da Franco Battiato sulle copertine di Patriots (1980), di La voce del padrone (1981) e infine in alcune occasioni pubbliche in quel primo scorcio di anni Ottanta (ospite in tv a Domenica in o a Mr Fantasy), mi colpisce con la forza di un segno che si staglia al centro del quadro, non casuale, ma coerente con una fase di raffreddamento, con un’adesione esplicita e consapevole alla forma, se non addirittura a un’idea di decoro. La cravatta, e poi la giacca e la sobrietà vestimentaria di Battiato, valgono come un programma, una dichiarazione d’intenti.

In quegli stessi anni l’attenzione e la sensibilità estetica dello scrittore Pier Vittorio Tondelli vengono calamitate dalla novità della cravatta, tornata di moda tra i giovani. Ne scrive in un articolo pubblicato nel 1984, dal titolo La cravatta di Patti Smith.  La cravatta di cui parla Tondelli è quella slacciata che pende intorno al collo di Patti Smith, nel celebre ritratto fotografico di Robert Mapplethorpe, che diventò poi la copertina del disco Horses. «È merito dunque della new wave e, in particolare, di Patti Smith», scrive Tondelli, «di David Byrne e dei Talking Heads, dei B52’s, di Brian Eno e, naturalmente, di quel dandy di David Bowie, aver riconciliato una generazione con la cravatta». Non è difficile immaginare che cosa si nasconde dietro questa riappacificazione, ma Tondelli lo dice con sentimento e, da scrittore, con parole esatte, che ricostruiscono un passaggio d’epoca: «Se penso a quanto impegno mettevamo, sottomessi dalla rudezza dei fratelli maggiori della contestazione, nel non vestire, nel voler manifestare il disprezzo delle convenzioni, della forma e delle regole attraverso un’immagine non conformista, delabrèe e vissuta […] allora, da un lato, provo sentimenti di approvazione e tenerezza, poiché alla base di tutto era la conscia voglia di ricercare un epos del quotidiano, un’avventura ‘sulla strada’ assoluta e totalizzante […]; dall’altro, un senso di fastidio per molti anni sprecati nel rifiuto, nell’autoemarginazione […]». Anche l’immagine di Battiato negli anni Settanta è spesso «non conformista, delabrèe». Più avanti Tondelli scarta dall’indagine sociologica e autobiografica ed entra più propriamente nei panni del critico di moda, osservando da vicino l’oggetto: «La cravatta new wave è dunque rigorosamente nera, sottilissima, in seta […]» e tuttavia a «Firenze, che come da un po’ si predica è la capitale italiana degli anni Ottanta», Tondelli nota altre tipologie di cravatte, a fantasie cachemire su losanghe, pois su camicie stampate e color salmone su sfondi amaranto.

Nel 1980 Battiato è ospite a Domenica In (https://www.youtube.com/watch?v=U0DoTEkRQ4c&t=36s). Indossa una cravatta blu carta da zucchero e un impermeabile beige chiaro. Non si può dire che non sia elegante e decoroso. Di fronte a lui c’è Pippo Baudo, all’epoca quarantaquattrenne. Baudo, come Mike Bongiorno, incarna, nel bene e nel male, una medietà e uno spirito di arcitalianità (che forse, quarant’anni dopo, in tv non esiste più) e quindi una sensibilità animale nel riconoscere chi non è conforme alle regole e allo spartito della comunicazione televisiva; perciò annusa, al di là delle apparenze distinte e della cravatta, la singolarità e l’eccentricità dell’individuo Battiato. È sorpreso e vagamente contrariato dalla figura del suo ospite. Baudo cerca la complicità del pubblico in studio e, in vena di sarcasmi, domanda all’artista perché, visto che fuori è una così bella giornata, si è presentato in impermeabile. Insomma, col pretesto dell’impermeabile, Baudo chiede a Battiato di spiegare che cos’è questa sua stranezza che lo avvolge e lo abbottona, questo tratto difficile, questa cerebralità riprovevole perché poco mediterranea, questa freddezza, questa sospetta imperturbabilità con la quale resta sempre un passo al di qua dello spettacolo e della televisione. Battiato, dopo una pausa minuscola, paziente, consapevole di trovarsi di fronte alla stupidità e che la stupidità, in fondo, è solo una manifestazione dell’essere, risponde: «È instabile e sono di passaggio». Quel «instabile» appartiene al lessico delle previsioni del tempo, ma pronunciate da Franco Battiato le parole fanno pensare a un’altra interpretazione, come se alludessero a una condizione universale degli esseri umani: la provvisorietà, l’essere qui oggi ma chissà dove domani. La cravatta e l’impermeabile di Battiato, in quei primi anni Ottanta che salutano il lungo decennio della contestazione iniziato nel Sessantotto, più che una forma di decoro, descrivono l’acquisizione di un nuovo involucro, fatto appunto di impermeabilità, scetticismo, tolleranza, consapevolezza della sconfitta e umana pazienza. Se c’è qualcosa di cui Battiato è maestro in quel momento, è il non offendersi.

 

 

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).