Il gregge
Quando ci spiamo con gli occhi sopra la mascherina, incrociando le nostre monadi solitarie lungo marciapiedi deserti come in un vecchio film sul colpo di Stato, dovremmo pensare, proprio in quell’istante di silenzio e sospetto, che non siamo individui in conflitto, ridicoli e spaventati, ma pecore dentro un gregge valoroso e determinato. Sentirci nel gregge, diventare un gregge.
Immagini del gregge e del pastore sono custodite nell’inconscio collettivo, ma pure nell’inconscio particolare. Esisterà in molti di noi la memoria dell’incontro con un gregge che attraversa una strada. A Milano fino a qualche tempo fa esisteva un pastore che portava al pascolo il gregge nelle aree ex Magneti Marelli. Pensare al gregge non come a quella certa immagine usata per rappresentare la sottomissione, la passività, il riflesso pavloviano, l’istupidimento reazionario, la massa manovrabile; pensare al gregge come a una metafora dell’unione e della saldatura collettiva.
Un gregge di pecore o di capre che percorre insieme un sentiero. La pecora è davvero soggiogata al pastore? Oppure ciò che determina il legame tra il pastore e ogni singolo animale, provo a supporre, è soprattutto il sentimento della fiducia, la logica pratica e sicura della fiducia, qualcosa che corre tra gli uni e gli altri come una maglia energetica? È il tempo di essere progrediti, lungimiranti e collegati, tanto da divenire capaci di prendere la forma del gregge, di passare con coraggio e umiltà alla configurazione del gregge. Almeno per il momento. Chi l’avrebbe mai detto?