Il guaio di Vanity Fair, spiegato
Per molti anni sono stato un lettore di Vanity Fair, che puntualmente ricevevo ogni mercoledì mattina sulla scrivania della redazione televisiva per la quale lavoravo. Forse non esattamente un lettore, ma un affezionato sfogliatore, rapido e attento. La modalità di lettura quasi in catena e fordista che s’impone nel lavoro redazionale, per cui la stampa della settimana passa sotto gli occhi velocemente, quotidiano per quotidiano, settimanale dopo settimanale, richiede in chi legge un grande sforzo di attenzione e rapidità, formando così una certa sensibilità ottica e intellettuale. Delle pagine di Vanity Fair, mentre mi passava sotto gli occhi, mi hanno sempre colpito la delicatezza, lo stile, il rigore, la costanza, l’intelligenza e la grande qualità fototestuale con cui negli anni, oltre alla vita (e alla psiche) dei celebri, questa testata ha raccontato le guerre, le migrazioni, la malattia, la disabilità, la vecchiaia, la sofferenza umana.
Così mi sono sentito quasi chiamato a portare questa mia testimonianza all’interno di un thread sulla pagina Facebook di Vanity Fair, dove si discuteva di uno scivolone (indubbio) commesso da un photo editor. Ma stavolta, a mio avviso, non ha più importanza raccontare in che cosa è consistito questo errore. È più significativo soffermarsi nella novità che l’episodio ci offre, ovvero la risposta che Luca Dini, direttore della testata, ha pubblicato su Facebook. Una risposta aperta, lunga e articolata, nella quale oltre a chiedere scusa per l’incidente si preferisce non ghigliottinare la testa del proprio collaboratore, ma confermargli amicizia e fiducia.
Donald Trump in The apprentice avrebbe invece detto “You’re fired!”, sei licenziato, così come in casi analoghi è accaduto, quando molte aziende hanno preferito rimuovere un collaboratore, licenziarlo, pur di soddisfare la sete di giustizia sommaria invocata da quella entità che il filosofo Byung Chul Han definisce “lo sciame”. Ma soprattutto, accanto alla risposta di Luca Dini, c’era quella di Andrea Annaratone, il photo editor che ha caricato le due foto e il testo in discussione. Andrea si è scusato fin troppo, ma senza prostrarsi, e ha anzi trovato modo di raccontarci un po’ della sua vita, della sua professione, delle sue ansie, del tempo accelerato con il quale ogni giorno deve produrre e trattare contenuti. Ecco, due individui che solidalmente parlano di fronte allo sciame, mi sembra un buon esempio di resistenza al fascismo delle masse e la vera storia da raccontare di questo episodio, altrimenti uguale a tanti altri.