La gogna di Italo
Credo che Italo abbia fatto bene a offrire uno sconto ai sostenitori del Family Day. Anzi, ne sono convinto. Mi correggo: non credo che abbia fatto bene, credo che abbia agito secondo la propria natura. Mi aspetto che faccia altrettanto, laicamente, in occasione di un V-Day, di una manifestazione sindacale, di un Pride, di un grande evento a Pietrelcina. In qualsiasi occasione in cui l’interesse privato può incontrare positivamente la domanda e offrire un servizio. A un’impresa ferroviaria chiedo appunto una laica scontistica (che non è necessariamente una brutta parola, ma una parola che non conoscevamo). Fino a prova contraria, lo sconto offerto da Italo è una prassi ordinaria, non implica un proattivo sostegno ideologico al Family Day e un’affinità elettiva con Carlo Giovanardi. Questa è una tesi che va provata, e se provata, allora, ciascuno ne trarrà le proprie conseguenze. Personalmente, smetterò di viaggiare con Italo (il cui nome, tra l’altro, mi ha sempre evocato una imbrillantinata e respingente virilità littorea da divo dei telefoni bianchi). Ma fino a quel momento, uno sconto resta uno sconto. Uno sconto è uno sconto è uno sconto. Vorrei vivere sempre meno, al contrario, in un mondo scaltro e insincero di aziende che mi tracciano, scrutano e sezionano in categorie, per poi potermi compiacere e strizzarmi l’occhio in quanto borghese bohemien o ambientalista 5 stelle. E non vorrei vivere neppure in un mondo di aziende perseguitate da un’opinione pubblica non di rado umorale e niente affatto watchdog. Un’opinione pubblica che così è solo una crudele risultanza del darwinismo della società di mercato.
Si può provare compassione per gli umani, per gli animali. Perfino per le pietre di un giardino, come succede ai monaci. A me stavolta, sarà il terzo millennio, è capitato di provare compassione per NTV, un’impresa ferroviaria (e per le donne e gli uomini che in quel momento hanno dovuto gestirne la crisi sui social media). Certo, quei post di scuse su Facebook non erano professionali, erano imbarazzanti, ridicoli, sbagliati, da penna blu, tutti da licenziare domattina, con o senza giusta causa, a casa, a casa!, ma come non avvertire, nel cuore di questo incidente, anche la paura, il disorientamento, il panico, di fronte a una gigantesca ondata collettiva d’indignazione e sarcasmo, che grida la tua incompetenza, la tua inadeguatezza e, cronometro in mano, pretende una tua risposta scritta il più rapidamente possibile. Lo chiamano ‘epic fail’, come se stessimo ridendo di un uomo che si schianta per terra in un programma di Antonio Ricci. Della gif di un uomo che si schianta per terra. E come se il momento così topico, contemporaneo e televisivo del fallimento non richiedesse altro che la nostra univoca irridente condanna, il nostro “You’re fired!” alla Donald Trump in The Apprentice, e mai la nostra compassione o la nostra riflessione. O la nostra, alla fine di tutto, solidarietà umana o di lavoratori. Che mondo spietato e miserabile un mondo che somiglia al giurato cattivo di un talent. E che mondo comunque giusto e profondo, se è lo stesso mondo che chiede più uguaglianza.
Due giorni fa Italo ha temuto di perdere dei clienti, clienti che, prima che fuggano cinicamente alla concorrenza, dovrà imparare a intercettare di nuovo, a compiacere, a coccolare meglio, massimizzando la customer satisfaction, perfezionando il prodotto, competendo e stando meglio sul mercato. E come spesso succede, i clienti ci guadagneranno, certo, ma i lavoratori di Italo ci perderanno. E questo è il punto della storia che non viene mai raccontato.