La foto di Pannella
Questo post è uscito nell’agosto 2014
Circola in questi giorni un’immagine di Marco Pannella, seduto in un ristorantino all’aperto, a Roma, di fronte a una birra media e un piatto di spaghetti al pomodoro. Sembra una bella giornata. Un mazzo di chiavi, due vecchi telefonini, un pacchetto di Gauloises rosse posato sul tavolo. Forse è uno di quegli uomini che quando mangia deve prima svuotarsi le tasche. Una gamba sporge da sotto e la mano sinistra è chiusa a pugno accanto al piatto, come a piantarvi tutto il corpo. Sotto i piedi un piccolo fiume di cubetti di porfido. In un primo momento, osservando il quadro, localizzo lo scatto nel dedalo di stradine intorno a Montecitorio, dove vanno a pranzo piccoli e ignoti onorevoli, e poi capigruppo, sindaci in trasferta o presidenti di questa o quella commissione. Invece no: Pannella è seduto in via della Panetteria, zona Fontana di Trevi. La foto è stata diffusa dallo stesso Pannella il 29 luglio scorso. Quella mattina era reduce da una seduta di radioterapia, dato che sta combattendo contro un paio di tumori: uno al fegato, l’altro al polmone. Lo ha rivelato lui stesso, prima di annunciare di voler intraprendere l’ennesimo sciopero della sete per portare attenzione sulla questione carceri.
“Ho quindi questo tumore in alto a destra nel polmone, e molto probabilmente anche al fegato. E devo dire, mon Dieu, non mi dolgo di come il caso, l’eredità, il buon Dio, mi ha trattato e mi tratta. E infatti c’è qualche problema: intendo passare chiaramente allo sciopero della sete, sempre in dialettica rispetto al potere al quale la nonviolenza propone proposte e obiettivi”.
Mi sono ricordato di aver scritto, molti anni fa, su Il Riformista di Antonio Polito, e precisamente sulle pagine culturali dirette da Luca Mastrantonio, un pezzo che raccontava il lavoro di un artista, Stefano Tolio, conosciuto come Nark BKB, che aveva incorniciato in un soundpiece la parte più sottile del corpo di Pannella: la sua voce. La sua voce alluvionale, catarrosa, comica, lampeggiante, furiosa, talvolta durante il digiuno simile a un 45 suonato a 33 giri; sempre sorretta da una passione tenace. Stefano era – e suppongo lo sia rimasto – un fan di Marco Pannella, e un maniaco di Radio Radicale, dove Pannella ha un suo spazio da anni: “Conversazioni settimanali con Marco Pannella”. Come una specie di Caro Leader, però libertario, portatore a suo modo di un sangue indiano. Ricordo che, qualche giorno prima di scrivere il pezzo, ero entrato in un piccolo teatro, durante le giornate del Festival Uovo, e mi ero seduto in mezzo a un centinaio di persone. Dopo un po’ calò quasi del tutto la luce e ascoltammo levarsi, come da una crisalide di saliva, la voce-farfalla di Marco Pannella. Era un suono scarno, stremato dal digiuno, un filo biancastro scucito da un corpo che immaginavo smunto, scavato; un suono retto da un’ostinata volizione: il satyagraha, ‘vera forza’ o ‘forza dell’amore’, cioè il principio che fonda la lotta non violenta nella dottrina del Mahatma Gandhi. Il discorso, ricordo, era una specie di fioco panegirico, il cui centro era disperso, e che ascoltato così, al buio di un teatro, era un viaggio nella psiche appannata, nella carne prosciugata di un vecchio eroe della politica e dell’attivismo che, ad occhi chiusi, improvvisamente evocava in me il muso di un tricheco. Durò poco più di sei minuti, in cui si mostrò un’intera stratificazione fonetica, e una qualità drammatica, come se avessimo ascoltato un brano di Carmelo Bene. Poi venne distribuito al pubblico un foglio che riportava lo scambio mail tra Pannella e l’artista:
“Caro Marco, mi presento: sono Nark, ma il mio vero nome è Stefano Tolio […] oltre l’alto interesse suscitato dalle tematiche trattate, vengo sempre sedotto dal tuo modo di costruire il discorso: il tuo procedere secondo flussi di pensiero che si dipanano e avanzano – ora lentamente, ora accelerando repentinamente – come il moto di una spirale […] Quei frangenti in cui i sintomi dell’autoimposizione di una scellerata condotta alimentare si manifestano palesemente all’ascolto del discorso nel suo farsi, quando la logica del suo funzionamento sembra diventare meno nitida…”.
E Pannella, il giorno dopo, aveva risposto con una mail scalettata per punti:
“Caro Come-cazzo-devo-chiamarti, per il momento caro Stefanark. 1) Ti ringrazio perché è possibile che grazie a te capirò qualcosa di più di me stesso; il che non è affatto necessario, ma, hai visto mai? 2) Ci sono sommariamente archiviati e tollerabilmente mutilati un 4000 ore di miei comizi, dibattiti, fili diretti 3) Quel materiale audiovisivo potrebbe esserti utile perché è individuabile anche una sorta di (mia) regia sì da venirne fuori uno specifico televisivo che è poi dilagato in termini di specifico linguaggio politico…”.
E di seguito Pannella autorizzava l’artista all’uso del materiale, a farne ciò che voleva: “La mia immagine non mi appartiene, non è ‘privata’ di alcunché”.
Alla notizia dei due tumori, e al post della foto con lo spaghetto al pomodoro, è seguito un generale moto d’affetto, simpatia. Pannella è circondato da molto amore. Del resto, come Zeus ha avuto moltissimi figli, ciascuno con specifici talenti e assai diversi l’uno dall’altro: da Daniele Capezzone a Roberto Giachetti. Nel 1987 accolse dentro il partito mezza Prima Linea, che sottoscrisse così la scelta della non violenza. Un gesto oggi totalmente off, improponibile. Ma più che dall’amore, Pannella è circondato da una forma di entusiasta e meravigliata adorazione. Gode, con le sue cravatte pop e il suo codino freak, con le sue esternazioni (proprio ieri: “Curo due tumori con 60 sigari al giorno. Il fumo mi salva dalla malattia”) del particolare tipo di reputazione di cui godono gli artisti, i vecchi leoni radiotelevisivi, del teatro, della cultura. Diversamente dal tipo di reputazione che circonda i politici a pranzo tra il Pantheon e Montecitorio. E di tale diversità, con un giro di frase alla Enrico Ghezzi, sembra quasi essere stato una volta il teorico: “una sorta di (mia) regia sì da venirne fuori uno specifico televisivo che è poi dilagato in termini di specifico linguaggio politico…”.
Pannella è il portabandiera, per molti, di un mix eclettico di liberismo economico e liberalismo etico, raro nel nostro paese; o di un gioco spregiudicato e a tutto campo nelle alleanze; in altri evoca un ponte colorato tra l’Italia di oggi e quella dei vecchi circhi e cortei libertari anni ’70. Spesso è tutto quanto insieme, esaltando un contorno quasi a pennarello e da fumetto. Se penso a lui di fronte a un piatto di spaghetti, alla sua storia, al suo sorriso azzurro, penso ad un soffio di marjiuana nel mondo.