L’uccellino Cheap e i forconi
Martedì 10 dicembre, il giorno dopo il debutto del movimento 9 dicembre e dei forconi, intorno all’ora di pranzo sono uscito dalla redazione, con i colleghi, e insieme abbiamo notato la presenza di un uccellino, immobile, sotto una macchina parcheggiata. Ci siamo chinati per guardarlo meglio, cercando di non spaventarlo. Era grande come una pagnotta e il piumaggio aveva un colore tra il bruno e il grigio. Non si poteva dire che fosse bello. Era modesto. E sembrava avere un carattere riservato. Lo abbiamo chiamato Cip e dopo un po’, mentre ci stavamo incamminando verso l’Esselunga, Silvia, una collega, ha proposto di cambiargli nome in ‘Cheap’. Ovvero povero, semplice, umile, a buon mercato.
Il giorno dopo, sempre intorno all’ora di pranzo, lo abbiamo visto di nuovo sotto quella macchina. Una Ford Fiesta color amaranto. Era ancora lì, per ragioni a noi sconosciute, che soltanto uno specialista avrebbe potuto chiarire. Però Cheap ci faceva grande simpatia. Ci siamo di nuovo abbassati per guardarlo e ho scattato questa foto.
Quel giorno, uscendo dalla redazione, avevo la testa affollata dalle immagini dei cortei e dei blocchi stradali del movimento 9 dicembre. Mi avevano molto turbato. Non solo perché raccontavano una paura e una rabbia che mi riguardavano, come precario cronico sempre più precario, fratello di un precario, parente di una schiera di lavoratori precari, amico di una moltitudine di altri precari senza grandi prospettive, ma perché non ero abituato a vedere quelle facce – diciamo pure quell’antropologia – in piazza. Chi era quella gente così arrabbiata, così affamata, che nei capannelli di fronte a Montecitorio gridava ‘casta!’ pure ai parlamentari 5 Stelle? Da dove venivano? Su Facebook avevo cercato di profilarli con un lungo status: “…Edicolanti con tendina reparto porno, bevitori di Sambuca in bar della bassa con capillari spaccati, ex cassiere appariscenti di salagiochi chiuse, recordman a Tetris al Bar Sport di Abbiategrasso nel ’96, deejay progressive falliti e addetti al muletto al Pam di Novi Ligure, lui e lei giocatori di videopoker finiti nella spirale della ludopatia, ex ragazzi col codino alla Fiorello negli anni ’90, venditori di Folletto, pseudoveline promoter di cosmetici al Carrefour di Parabiago, frequentatori di fiere dell’Eros e protagonisti di foto ricordo con Mercedes Ambrus, volontari della Croce Bianca iscritti a Forza Nuova, lettori di David Icke e sostenitori della teoria delle scie chimiche, divorziati che dormono in macchina e leggono libri sui templari, eventuali stragisti, disseminatori di secrezioni sebacee su tastiere di notebook HP 24 pollici…”. Poi nel pomeriggio, dopo aver postato quello status, mi ero sentito un po’ razzista. Mi ero pentito di quello che avevo scritto. Il giorno dopo ho visto di nuovo Cheap. E così il giorno dopo ancora. Giovedì, mentre i forconi continuavano a manifestare, Cheap era a lato dell’automobile, allo scoperto.
La macchina, ho notato, aveva un bozzo sul fianco. Sui vetri, inoltre, c’era una pellicola di polvere e tra il vetro e i tergicristalli si era depositato uno spessore di foglie secche. Era, con ogni evidenza, una macchina abbandonata. In centro. Tra il palazzo di una grande agenzia di consulenza e l’headquarter di Giorgio Armani. In una zona piena di showroom. Forse la Fiesta era stata lasciata lì perché non c’erano soldi per pagare l’assicurazione. Ho cominciato ad immaginare che quella macchina servisse da ricovero notturno a qualcuno. Magari a un padre divorziato che ci andava a dormire di notte, mentre il giorno andava al lavoro, oppure girava la città in cerca di un impiego e a mezzogiorno tentava di rimediare un pranzo. E ci sta che in quei giorni, ho pensato, quest’uomo misterioso, e abbandonato, fosse anche lui in Piazzale Loreto, insieme agli altri forconi, ai fascisti, ai ventenni disperati, agli ultras, alle partite IVA, agli artigiani, agli esodati col piumino nero, il cappellino di lana e gli occhi affamati fra i tricolori al vento. Poi la sera, chissà, tornava qui, alla macchina. Mangiando un panino lasciava da parte qualche briciola in un tovagliolo di carta. Per darle a Cheap al mattino. E dopo? Metteva su un po’ di radio. Radio 105 o la classica contemporanea su Radio 3. Leggeva un altro capitolo di un saggio sul Graal e i Rosacroce o sul nuovo ordine mondiale. Fino a quando chiudeva la pagina, avendo come segnalibro una foto del figlio. E si addormentava. Ecco un forcone di notte, ho pensato, quando non possiamo più vederlo.