Gianni Miraglia incontra Eduard Limonov
Mi scuso per le imprecisioni e la scarsità d’informazione che potranno trovarsi in questo pezzo. Il fatto è che non me la sento di deconcentrare – scrivendogli, telefonando – la persona di cui voglio parlare, che si chiama Gianni Miraglia e che in questo momento si trova a Mosca. Più o meno da un paio di settimane.
Gianni Miraglia è uno scrittore e un ex pubblicitario. Collabora con diversi periodici, tra cui Rolling Stone, per il quale, fra l’altro, tiene un diario per raccontare il suo ultimo anno di vita da disoccupato, a seguito del licenziamento nell’agenzia di comunicazione in cui aveva lavorato per lungo tempo. Gianni, inoltre, è un specie di performer di Facebook, un artista vero del social network. Nel tempo si è costruito una comunità calorosa e vastissima di amici. Non passa ora che non appaia un post, una foto o una clip di Gianni sulle loro home.
Qualche tempo fa (agosto? settembre?) aveva cominciato a scrivere status sulla Russia. È uno che va a filoni, che poi cavalca per giorni. Ma quella della Russia era una fantasia che tornava spesso tra i suoi status. Così ha cominciato a pensare ad un viaggio. Un viaggio in cui avrebbe cercato d’incontrare lo scrittore Eduard Limonov, che Gianni legge e ama da tempo. Da molto prima che uscisse la biografia best seller di Emmanuel Carrère.
Per gioco mette un annuncio su gofundme.com e cerca di trovare finanziamenti per organizzare questo viaggio a Mosca. Nel giro di breve gli arrivano sul conto 108 bonifici. Da 10, 15, 20, 50 euro. Da 5 euro. Sono i suoi amici di Facebook. Insieme al bonifico arrivano messaggi come questo: “Scusa se è solo simbolica (la cifra, nda) ma anch’io sono un cacciato dalla pubblicità. A 53 anni […]”.
Nel giro di poco Gianni arriva a quota 3075 euro e il 17 novembre parte per Mosca. Il progetto trova anche un nome: “#Mandatemiaquelpaese”. Ciascun finanziatore lo incarica di una missione. Andare sulla Piazza Rossa e cantare “Lasciatemi cantare”. Entrare alle prove del Bolshoi. Camminare sulla neve con le espadrillas ai piedi, in ricordo delle marce dei nostri soldati durante la campagna di Russia. Provare la lezione di un arte marziale chiamata Systema alla palestra Dynamo. Salire sui tetti con una banda che pratica il parkour. Incontrare un tizio della scena rockabilly locale. Entrare nel modesto, commovente appartamento da socialismo reale dove abita una coppia di iscritti all’Associazione Italia Russia e scoprire quanto i russi ci adorino. Fissare per 50 secondi un dipinto costruttivista alla Tetrykov Gallery. Scattare una foto alla tomba dell’ingegner Andrej Nikolaevič Tupolev. E così via. Due, tre missioni al giorno per più di due settimane. Nello studio di un tatuatore moscovita, Nikita Zakharov, Gianni si fa disegnare sull’avambraccio la scritta “#Mandatemiaquelpaese”. Ogni azione è documentata da un video girato con la GoPro, o da una foto, caricati sulla pagina Facebook di Gianni. Un giorno scrive una cosa bellissima, e cioè di avere nostalgia di casa, e gli occhi umidi, “come quelli del Grande Fratello”. “Mandatemi a quel Paese” è una specie di format tv, infatti, di reality show rudimentale e low budget. È un’opera d’arte popolare, e in realtà inclassificabile, in cui si trovano coinvolti su diversi livelli approccio do it yourself, crowdfunding, uso totale dei social network, arte relazionale, storytelling, una straordinaria intesa emotiva tra pubblico e performer e infine, sottotraccia, un racconto umano della crisi e della voglia di battersi fino in fondo. Eppure tra i tanti ‘mi piace’ e commenti, nonostante la piccola popolarità di Gianni e del suo progetto, non c’è praticamente nessuno di quella comunità letteraria, a volte cieca e posseduta da vecchie dicotomie, che in queste settimane si è invece tanto scannata su Masterpiece. Mentre Masterpiece è in fondo soltanto un gioco, entertainment, un talent con il suo specifico linguaggio naturale, che si serve del mondo editoriale e dei suoi clichè come un pretesto, “#Mandatemiaquelpaese” è invece un’opera narrativa, nonché un modo nuovo di finanziare le storie, e di amare e rispettare il proprio pubblico. Paradossalmente una mattina Gianni, per puro caso, ha incrociato a Mosca un pezzo dello scaffale italiano: lo scrittore Federico Moccia, ospite al Non Fiction Festival di Mosca.
Poi, domenica 2 dicembre, a due settimane dalla partenza, dopo averne trovato il numero di telefono, e filmato una telefonata struggente, e preso un appuntamento con qualche giorno di anticipo, Gianni è finalmente riuscito a trovare chi stava cercando da un pezzo. Lo scrittore Eduard Limonov.