Lasciare Milano
Stamani ho fatto un sopralluogo in quella che sarà, da agosto, la mia nuova casa. Si tratta di un 30 metri quadri circa, nel quartiere Isola, a Milano. Un monolocale. Si entra attraverso una specie di disimpegno, di circa un metro e sessanta, stando alla planimetria, che ha la fortuna di avere due rientranze, sul lato destro e sul lato sinistro, abbastanza profonde per sistemarci due armadi o una libreria. Un passo avanti e si esce dal disimpegno, dove si apre l’ambiente unico. La cucina è in un angolo ed è formata da un piccolo lavabo e due piastre elettriche. A destra della cucina c’è la porta a soffietto che dà su un bagno privo di finestre. Il letto si trova in alto, su di un soppalco murato abbastanza grande per un materasso. Di conseguenza, e per fortuna, il letto non sarà d’ingombro e godrò di una minima divisione tra zona giorno e zona notte. Non dovrò mangiare nello stesso spazio dove andrò a dormire. Due finestre danno su di una stradina sporca e poco trafficata intitolata ad un geografo e citata in un verso di DJ Gruff. Il canone di affitto è di 620 euro, comprese delle spese di condominio, più le spese di energia e internet. Lascerò quindi la vecchia casa di via Farini, senz’altro più grande, dove ho abitato per anni e che ho condiviso con diverse persone, a partire dalla fidanzata con cui ci entrai per la prima volta.
La ricerca della casa è durata per più di un mese. Avevo come linee guida un budget di massimo 600 euro (cioè, a seconda del livello e della specializzazione, più della metà, o poco meno della metà, dello stipendio di un metalmeccanico) a cui poi aggiungerò, a fine della fiera, venti euro; come zone di riferimento preferibilmente MaciachiniImbonatiIsolaSarpiPorta VeneziaPiola, senza escludere del tutto altri quartieri più periferici; il proponimento di non ricorrere alla mediazione di un’agenzia, che avrebbe potuto costarmi fino ad 800 euro; un aspetto e mobilio dignitosi.
Ho visitato diverse case, circa una ventina, e ne ho guardate moltissime, centinaia, su internet, giorno per giorno, per circa un mese. Per esempio questa, in Piazza Firenze, affittata a 400 euro più spese:
Quest’altra, non ricordo più dove, dalle geometrie apparentemente non euclidee:
Quest’altra, una sorta di classico Aspettando Godot, ma attraverso la televisione:
O questa dove, come quei fantasmi che sbucavano nelle foto una volta sviluppate, appare una misteriosa bambina:
Alla fine di questo viaggio immobiliare dentro Milano, durato circa un mese, ho realizzato che, avendo come linee guida quelle sopra elencate, non avrei potuto aspirare ad altro che non fosse un monolocale, innanzitutto, ed un monolocale molto piccolo, sotto i 40 metri quadri. Anche in zone più svalutate e decentrate. A meno di non continuare a cercare per molto tempo ancora, sperando in un’occasione.
Così stamani ho fatto il sopralluogo nella mia nuova casa e dopo aver aperto e chiuso gli armadi, preso qualche misura, acceso e spento gli interruttori, per la prima volta, con mia grande sorpresa, ho meditato – di fronte a quella limitatissima distesa di mattonelle, alla ristrettezza claustrofobica di quell’unico spazio, alla necessità di abbandonare parte della mia vita passata e futura (libri, CD, oggetti personali, ecc) fuori dalla porta, alla difficoltà d’immaginare un futuro umano, l’acquisto di una casa o il cash in grado di traghettarmi in situazioni più spaziose e dignitose – di lasciare prima o poi questa complicata città, Milano, per non so dove. Ho poi ripensato alla frase che, pochi giorni prima, mi aveva scandito una ragazza, anche lei appena entrata dentro un trenta metri quadri: “Less is more”. E mi è sembrata, più che una massima di saggezza Apple o zen, un pezzo di cultura esotica deformato a scopi autoconsolatori. Dunque a quel punto, nella quiete dell’appartamento vuoto, ho provato timidamente a chiedere se non sarebbe normale che una legge, o un pacchetto di leggi, proteggesse quelli come me, la maggioranza, calmierando sensibilmente gli affitti o favorendo un mercato del lavoro meglio remunerato e più stabile, dato che mi trovo da un po’ disoccupato. Ma poi sono rimasto solo con questa preghiera, rivolta in soliloquio alle istituzioni, che ho visto lentamente maturare fino a scoppiare e sgonfiarsi a mezz’aria, nel monolocale. Un individuo solo, insomma, tra altri individui altrettanto soli, sciolto da quel genere di legame caldo e solidarietà pratica un tempo chiamati ‘classe’, che ha costruito la metà di questo Paese sotto la guida di un vecchio partito di opposizione a ispirazione marxista, e la mia solitudine e passività, all’improvviso, non mi sono più sembrate semplicemente tali, ma una dimensione psicologica nuova, da coltivare per quanto agra, comprendere, la concreta presa di coscienza della inarrestabile piega disgregatrice presa dal mondo e dalla storia, perfettamente illuminata nel titolo del romanzo che ha vinto quest’anno il premio Strega, e cioè: Resistere non serve a niente.