Border, un film italiano sulla Siria
L’anno scorso, in febbraio, un amico produttore, Francesco Melzi, mi ha chiesto un parere su una sceneggiatura. «È una sceneggiatura sulla Siria», mi ha detto. «L’ha scritta Alessio Cremonini insieme a Susan Dabbous, Alessio è anche il regista, sarebbe un’esordio. Costa centomila euro», ha aggiunto. «Centomila euro?», ho chiesto io. «La Siria per ovvi motivi verrà girata anche in Italia, i protagonisti sono arabi e in arabo recitano». Mi ha mandato un articolo di Vanity Fair America sulla Siria. L’inviato raccontava di come certe parti del centro e sud Italia, naturalisticamente parlando, sono così simili alla Siria.
«Il film» mi ha spiegato Francesco, «verrà interpretato da siriani, attivisti, giovani, con le storie più diverse. La protagonista ha diciassette anni. La troupe non si paga. È per tutti la prima o al massimo la seconda esperienza di set. Allora, la leggi?» Me l’ha inviata e non so perché l’ho letta subito. L’ho trovata molto bella. Severa, onesta, semplice. Soprattutto giusta. Ho pensato che avere un accesso emotivo, empatico di questo tipo nel momento in cui l’accesso in Siria è impossibile era importante. Che informare sulla Siria mentre le informazioni sulla Siria sono nella loro assenza il tema di ogni giorno, di ogni giornale, di ogni discorso di presidente, era importante. Ho chiamato il mio amico e gli ho detto «Mi piace, mi piace in assoluto, come storia e come film e come scrittura e mi piace perché è sulla Siria. Voglio produrlo anche io».
Da sempre ho pensato di voler produrre e di certo di questi tempi mi interessa molto di più aiutare le storie degli altri che le mie. E di questi tempi è anche molto difficile fare i film o i libri o la tv e quasi tutto, e quindi anche questo mi importava, fare accadere qualcosa, aiutare una macchina a partire e muoversi. Però non avendo soldi né esperienza in quel senso non mi era ancora riuscito di produrre qualcosa sul serio. In questo caso, visto il budget così ridotto, potevo aiutare a realizzare un’opera, potevo possederne una parte, potevo nel caso fosse servito dare il mio lavoro gratis, alla sceneggiatura, al montaggio e certo, i miei diecimila euro. Ho invitato altre due persone a fare come me. Si sono fidate. Una è Victoria Cabello. Anche lei da molto tempo voleva cominciare a produrre. Francesco ha trovato il resto dei soldi, sempre da persone come noi, che non avevano mai prodotto ma credevano in questa storia e in questo progetto per come era concepito e per quello che significava.
Così il film è partito, hanno cominciato il 24 aprile. Il set è stato in ogni senso intenso. E complicato, pochi soldi come è ovvio, anzi praticamente zero soldi, tutti dovevano fare tutto, la pioggia che non finiva mai. Però poi a giugno avevano finito di girare e a luglio il regista, il montatore e Francesco Melzi sono riusciti a costruire una messa in fila da mandare al Festival di Toronto. Hanno montato giorno e notte ancora tutto agosto e il festival di Toronto, che è un festival decisamente importante e grande, ci ha invitato ufficialmente e il 7 settembre c’è stata la prima mondiale del film in America. Victoria e Francesco sono andati a Toronto e le proiezioni sono andate molto bene. Quindi siamo tutti molto felici e questo piccolo film di Alessio Cremonini, scritto con Susan Dabbous che per chi non lo ricorda in Siria è stata rapita l’anno scorso (durante la lavorazione del film) insieme ad altri tre giornalisti italiani, si chiama Border ed è venuto molto bene. È onesto, puro, soprattutto è bello e noi l’abbiamo fatto tutti insieme. Loro, i registi, gli attori, la troupe, il montatore, l’hanno fatto di più ma anche noi l’abbiamo fatto, e mi piace dire a ripetizione noi. E così Border, che prima non esisteva ora esiste, è un piccolo film e insieme un film grandioso.