A proposito di Youth e dell’impossibilità di giudicare un’opera d’arte
#CollegeCinema
Dopo aver visto il nuovo film di Paolo Sorrentino sono rientrato a casa, ho acceso una Marlboro light e ho scritto su google: “Youth rassegna stampa”.
Come immaginavo i critici delle più importanti testate nazionali e straniere erano in disaccordo.
In ordine sparso il film è stato definito: bellissimo e commovente. Una grande bruttezza. Semplice e complicato, tutto e niente. Un fallimento. Un capolavoro. Ridondante di luoghi comuni. Poco profondo. Intenso.
Leggendo gli articoli, ho avuto la sensazione che i critici abbiano fatto fatica a scrivere i loro pezzi. Frasi pesanti, spigolose, subordinate potenzialmente infinite. Come se si fossero sforzati di trovare parole argute, scavare nelle viscere del vocabolario, sfruttare in pieno il potenziale della lingua italiana, nel tentativo, inconscio (spero) di tenere testa ai lettori dell’articolo e alla “potenza mediatica” del film stesso. Scrivere per mettersi in mostra. Mostrare di essere più “visionari” e “intelligenti” di Sorrentino, come a dire: “l’ultima volta l’hai passata liscia, ora, invece, considerando anche il fatto che Cannes ti ha snobbato, meriti di essere ridimensionato”.
Sorrentino non è un regista mainstream, anche se La grande bellezza, il suo film meno mainstream, grazie all’Oscar è diventato il suo film più mainstream.
Di conseguenza le aspettative su Youth erano tante.
E c’erano tre modi diversi di approcciarsi al film.
1 – Approccio scettico
Con La grande bellezza ti è andata bene, caro il mio Paolo Sorrentino che ami Maradona e i Talking Heads, vediamo come te la cavi ora, considerato che il film, come si intitolava?, quello con Sean Pean, era brutto e quell’altro con Toni Servillo che sta relegato in un albergo in Svizzera non diceva niente.
2 – Approccio ottimistico.
Hai sempre sfornato capolavori caro il mio Paolo, perché questo film non dovrebbe essere all’altezza degli altri? In più c’è un cast stellare, Michael Caine e quell’altro attore di Taxi Driver di cui mi sfugge il nome. Ho visto il trailer, sento odore di capolavoro anche questa volta.
3 – Approccio da critico cinematografico
Di solito sta a metà tra i primi due: è’ scettico, in quanto il regista è pur sempre il suo avversario, nel senso che in un’ora e mezza barra due deve convincerlo della bontà del suo film.
Impresa complicata visto che il critico è un uomo navigato ed esperto, ha studiato all’estero e ha recensito geni del calibro di Sergio Leone, Martin Scorsese, Fellini.
Nel 90% dei casi il critico pensa che il film che sta per vedere non gli cambierà il suo modo di osservare il mondo. Non lo farà piangere, tantomeno gli metterà addosso quella voglia di scrivere un film che aveva anni prima, da giovane, “quando si vede tutto vicinissimo”.
Ma il critico è anche ottimista, in cuor suo: questo pomeriggio non gli dispiace andare al cinema. Non deve recensire il solito film banale, commerciale, oppure arguto, sperimentale cecoslovacco, ma Paolo Sorrentino, un regista, che, oggettivamente, sfodera sempre pellicole che fanno discutere. Per questo motivo è contento di vederlo e di mettersi poi a scrivere un pezzo in cui può, finalmente, sfruttare il suo potenziale creativo. Consapevole che l’articolo sarà letto da un notevole numero di lettori. Deve essere all’altezza del film, delle aspettative, degli altri critici cinematografici che avranno fatto il suo stesso ragionamento.
Per questo spera, in fondo al suo cuore, che il film sia brutto, che non vinca nulla a Cannes e che gli altri critici lo demoliscano. Sarà più semplice mostrare la sua capacità di giudicare il bello.
Mi alzo il colletto della camicia, indosso un paio di occhiali da sole e scrivo:
Kant pensa che il bello non è una qualità oggettiva (propria) delle cose, non esistono oggetti (anche film, attenzione) belli di per sé, ma è l’uomo (il critico) ad attribuire tale caratteristica agli oggetti. Come? Mediante il giudizio estetico, una sorta di sesto senso che permette all’essere umano di avvertire la bellezza e l’armonia di un’opera d’arte o di un paesaggio (avvertiamo i tramonti sempre come esperienze “belle”, perché?) realizzando un accordo tra l’opera d’arte e la sua “esigenza di libertà”.
Essendo quest’ultima soggettiva, è chiaro come anche i giudizi lo siano.
Eppure, giudicare il bello, è ciò che i critici fanno per mestiere. Perché ci fidiamo dei loro giudizi? Perché hanno “più esperienza”? Perché hanno studiato? Ma cosa hanno studiato, davvero, se abbiamo appena detto che il percepire la bellezza è una qualità soggettiva?
Il gorgonzola per alcuni puzza, per altri ha un ottimo odore. Non esiste un libro che può insegnarci a riconoscere il buon odore del gorgonzola.
Nei libri si studia la tecnica di un film, la messa in scena, il viaggio dell’eroe e la struttura in tre atti. Scheletri con cui il 95% dei film che vediamo sono costruiti. Quello che cambia sono le scelte artistiche del regista. Come inquadrare chi e cosa. Perché inquadrare chi e cosa in quel determinato modo. Cosa mettere in scena. Cosa lasciare fuori.
Quello che cambia sono i dialoghi, le musiche, le interpretazioni degli attori.
È questo che il critico deve giudicare? Le scelte artistiche? Mi sembrerebbe un paradosso. Si chiamano scelte proprio perché sono state effettuate in modo libero dall’artista, è normale che ogni scelta ne esclude un’altra. Scegliere cosa inquadrare, quali oggetti mettere in scena, è un diritto dell’artista, non può essere giudicato perché non esistono scelte sbagliate.
(Certo, alcuni film fanno eccezione, sono palesamente brutti, ci sono dialoghi irritanti, mimiche facciali di attori ingessati, scene vuote senza contenuto, temi trattati in modo banale)
A tutto questo aggiungiamo le varianti che possono influenzare l’approccio del critico cinematografico al film.
Due esempi tanto per capirci.
1. Se la mattina sua moglie gli ha preso il pene in bocca, il pomeriggio, ore 15,30, cinema centrale, il critico, dopo un’ottima colazione a base di cappuccino e cornetto, avrà un approccio più rilassato e sereno nei confronti della vita in generale e del film in particolare.
2. Il critico non fa fa sesso da mesi, la sera prima ha cenato con quattro bastoncini al forno e per giunta sua moglie si è dimenticata di comprare il vino al supermercato. A questo aggiungiamo che suo figlio ha preso una multa da 180 euro per eccesso di velocità, l’Inter ha perso l’ennesima partita della stagione e proprio oggi, che è la prima vera giornata di primavera e poteva andare a giocare a tennis con il suo collega Tom, è uscito il nuovo film di quel pallone gonfiato di Sorrentino.
A meno di miracoli (considerando il fatto che al nostro critico La grande bellezza lo aveva lasciato perplesso e ancora adesso, ogni tanto, di notte, si domanda cosa ci abbiano visto di bello gli americani) è impossibile che la sua recensione superi le due stellette e mezzo.
Sono solo due di centinaia di varianti che potrebbero (il condizionale è necessario) influenzare i giudizi sul film.
(Cosa che non dovrebbe succedere, però, perché i critici sono professionisti esemplari, al pari di medici, avvocati, ingegneri. Cosa che però può succedere perché i critici a differenza di medici, avvocati, ingegneri, hanno a che fare con oggetti soggettivi)
Leggere i giudizi su un film è solo una perdita di tempo?
Leggo giudizi che parlano di film commovente. Film bello perché commuove.
Mia nonna si commuove per C’è posta per te.
Perché l’emozione del critico e di mia nonna dovrebbero essere considerate su due piani diversi?
E allora che tipo di approccio, di “critica”, si dovrebbe avere di fronte a un film e a un’opera d’arte in generale, se è impossibile giudicarla da un punto di vista oggettivo?
Questa è una domanda a cui è difficile trovare una risposta. Giudicare, essere giudicati. L’essere umano lo fa dall’alba dei tempi. Nel mondo grande e nel mondo piccolo ancora di più. Leggere le recensioni ci piace, ci aiuta a scegliere, può influenzare la nostra capacità di giudizio (bel paradosso, lo so).
Impossibile pensare a un mondo senza critici d’arte.
Non esisterebbe neanche l’arte, ovviamente.
Dobbiamo fidarci di loro? Della loro “esperienza”, “autorevolezza”?
Forse si, forse no. Chi può dirlo? Credo che l’importante sia non rovinare la nostra, di esperienza artistica. Cercare di preservarla in modo da poterne godere in pieno gli effetti.
Ci sono tramonti che tolgono il fiato, che ci commuovono, immaginate se qualcuno si mettesse a recensire i tramonti.
“Un tramonto pregno di luoghi comuni, il sole che sprofonda nel mare, la barca del pescatore all’orizzonte, il verso dei gabbiani. Due stelle e mezza.”
Non leggere le recensioni (positive o negative) prima di vedere un film, leggere un libro, andare a una mostra, ascoltare il nuovo album del nostro artista preferito. Può essere un modo per godere a pieno degli effetti dell’arte sui nostri sensi.
Tutti noi abbiamo la capacità di avvertire il bello. Trovarlo nelle cose nel mondo, preservarlo, goderne. È una delle caratteristiche che ci rende umani. Che ci unisce e ci rende simili. Certo, saremo sempre influenzati dalla coscienza comune: il taglio di capelli che rendeva bella una donna negli anni ’80 ora la renderebbe, ai nostri occhi, ridicola, passata, antiquata.
Bello o brutto. Sono solo parole, alla fine. Passano. Toni Servillo diceva che è tutto un bla, bla, bla. Ho sentito i brividi, in quell’ultima scena. Non è questo ciò che alla fine conta davvero?
-Francesco Aquino-
(per saperne di più sul College Cinema: www.scuolaholden.it/17179/college-cinema/)