Chi recensisce i recensori?
Ho trascorso gli ultimi cinque giorni chiuso in casa ad aspettare Godot. Ma Godot ama prendersela comoda, così ho navigato su internet alla ricerca di qualcosa che stimolasse la scrittura di un nuovo articolo per il Post.
Beato me, ne sono cosciente, mentre fuori la gente combatte guerre lampo contro Jobs Act, politici corrotti o rivali calcistici (la scorsa settimana un morto a Madrid e Buenos Aires), io aspetto che un personaggio di finzione bussi alla mia porta e intanto mi tengo occupato leggendo blog e monitorando la home page di Facebook dove i miei amici mangiano cibi degni di Masterchef e condividono link che vanno dalla letteratura al cinema, dal calcio agli aforismi sulla vita.
Poi scopro che uno degli articoli più letti della settimana, proprio sul Post, è quello che spiega come riconoscere un buon sushi. Lo leggo anch’io. Adoro il sushi e sono follemente convinto che il cibo giapponese allevi le pene e porti benefici all’anima. L’articolo era interessante e ben scritto, davvero, ma una cosa mi ha spiazzato: perché un articolo sul cibo giapponese, dovrebbe attirare un così alto numero di visitatori?
Possibile risposta: perché non era un articolo sul cibo giapponese, ma su come riconoscere un buon ristorante giapponese. L’articolo non era rivolto solo agli amanti del sushi, ma a una tribù più grande di quanto si abbia percezione: i recensori.
È sempre complicato per noi “amatori” della cucina istruiti dalla televisione distinguere tra un piatto buono e uno cattivo. Eppure non manchiamo di recensire locali su Trip Advisor o Just Eat. Spesso, quando ci chiedono: «Com’era il sushi in quel nuovo oriental bar sul corso tal dei tali» noi rispondiamo: «Buono, fresco, saporito, meglio di quell’altro».
Su cosa diavolo basiamo questi giudizi? Sulla nostra sensibilità, certo, e allora quei giudizi sono soggettivi? Ovviamente sì (anche perché usiamo sempre i soliti aggettivi). Ed essendo soggettivi perché dovrebbero essere scritti su internet e permettere ad altri utenti di basare le loro scelte su commenti di estranei con una sensibilità diversa dalla loro?
Eppure succede – mi avrebbe risposto il mio amico William se non l’avessi fatto sparire qualche articolo fa – Non solo per la cucina, ma anche… per qualsiasi altra cosa che possa essere recensita (e qui potrei aprire la parentesi più lunga nella storia di un post su internet ad elencare le cose che possono essere recensite e che noi recensiamo).
Sono spariti i recensori professionisti. O meglio, ci sono ancora, ma mischiati a migliaia di recensori occasionali. Ai tempi di internet, la condivisione sociale ha di fatto permesso a chiunque di poter giudicare un prodotto per cui, nella maggior parte delle volte, non possiede le competenze per giudicarlo in modo oggettivo. Perché l’oggettività dovrebbe essere alla base di qualsiasi recensione (o mi sbaglio?) e non le sensazioni.
Siamo tutti critici culinari, cinematografici, letterari, d’arte, sportivi, musicali. E la cosa ci piace da morire, anzi, crediamo sia un nostro sacrosanto diritto rendere pubbliche le nostre impressioni. La chiamiamo democrazia, io, invece, la chiamerei “ignorante presunzione”.
C’è un Tumblr – chiuso da qualche mese – che raccoglie le peggiori recensioni degli utenti Amazon alle più famose opere di narrativa. Roba da morire dal ridere, se prendi il tutto come un grande gioco e hai in corpo un paio di drink. Roba da piangere, se invece, sei uno senza senso dell’umorismo e consideri la letteratura una branca della teologia.
Ecco 5 esempi (sono quelli corrispondenti ad una mia ipotetica top 5, ipotetica perché: a chi dovrebbe interessare la top 5 di uno sconosciuto?)
1- “Nove Racconti”, Salinger: «Libro stupido. Vorrei tornare indietro nel tempo e impedirgli di scriverlo»
2 – “Il Castello”, Kafka: «Spazzatura. Niente ha senso. Prosa brutta. Soggetto meschino. (attenzione ora perché il nostro recensore svela anche un retroscena che non si sa come sia riuscito a conoscere). L’autore lo ha scritto per far divertire gli amici, non per farlo pubblicare»
3 – “Guerra e pace”, Tolstoj: «Non siate stupidi come me. Vorrei non averlo mai letto. Se Tolstoj non fosse già morto, vorrei che lo fosse»
4 – “Infinite Jest”, David F. Wallace: «Un gigantesco ammasso di chiacchiere. Vorrei dare un pugno in faccia all’autore»
5 – “Mattatoio n.5”, Kurt Vonnegut: «Libro brutto con una trama che viene abbozzata pagina dopo pagina, non capisco quale possa essere un possibile motivo per trovarlo decente».
Non capisci quale sia il motivo per trovarlo decente forse perché non hai le competenze necessarie per giudicarlo e ti basi solo sul tuo istinto?
Non voglio essere pedante ma credo che in tutti i settori, una certa competenza, dovuta allo studio (in primis), sia necessaria per poter giudicare un’opera d’arte, un piatto, un locale e qualsiasi altra cosa si presti a un possibile giudizio. Anche il comportamento di una persona che spesso recensiamo come negativo o positivo. I pettegolezzi, in fondo cosa sono?
Questo meccanismo – libertà assoluta di opinione e condivisione – io sono convinto che faccia perdere tutti. L’autore del prodotto che viene screditato, un possibile acquirente che leggendo la recensione si priva di un libro che avrebbe potuto trovare interessante (perché avrebbe potuto avere una sensibilità, esperienza, competenza diversa da quella del recensore). Ci perde il locale, magari sempre impeccabile, tranne un giorno in cui il cuoco, a causa di problemi in famiglia, si è dimenticato di salare le patate e (visto che è un giorno davvero sfortunato per lui) serve quelle patate a uno dei più attivi recensori anonimi di internet che una volta a casa si collega sul sito del locale, tramite piattaforme nate proprio per questo scopo, e mette una stelletta alla voce “qualità del cibo” con un commento sarcastico del tipo: “Il locale è anche accogliente se non fosse per le pietanze, tutte senza sale”. Quando in realtà l’unica pietanza senza sale sono state le patate al forno.
Per esempio.
Mi sembra un meccanismo che fa acqua da tutte le parti.
Un tempo le piccole librerie o i negozi di dischi erano frequentati anche perché si creava un rapporto con il proprietario che consigliava un libro o un disco basandosi sui gusti del cliente. Ci fidavamo del proprietario perché lo consideravamo una persona autorevole.
Ecco quello che manca ai recensori dell’era 2.0: autorevolezza. Ci vorrebbe qualcuno che li controllasse, che li recensisse. Perché dieci, venti, cinquanta estranei qualsiasi, se si mettessero d’accordo, potrebbero far chiudere un locale o peggio ancora, tenerlo sotto ricatto.
Non torneremo mai più indietro. Le recensioni non saranno mai abolite e allora non possiamo far altro che affidarci al vecchio buon senso e prendere il tutto con le pinze. Però, anche così, la sensazione di essere da soli, su una zattera, in alto mare, rimane. Commenti positivi e commenti negativi, di chi possiamo fidarci? Della maggioranza? Della minoranza? Del commento che ci sembra scritto meglio? Non lo so. Mi piacerebbe avere le vostre opinioni.
Bussano alla porta. È il fattorino che mi consegna il sushi che ho ordinato online dopo aver effettuato una selezione basandomi sui commenti degli utenti. Lo divoro, non riesco a trovare differenze sensoriali rispetto a quello ordinato in un altro locale una settimana prima. Però so che una differenza c’è e qualcuno saprebbe anche riconoscerla. Però questo qualcuno, nel mostrarla, dovrà essere specifico e usare termini e argomenti appropriati, altrimenti un altro signor nessuno, leggendolo, prenderà spunto per scrivere un articolo sul Post, in attesa che il signor Godot si faccia finalmente vivo.
– Francesco Aquino –