Metti un viaggio in Basilicata a fine settembre, metti #ReStartSud
Alla fine del viaggio comincia il ritorno.
Alla fine del viaggio si sveglia il ricordo.
Alla fine del viaggio inizia una storia.
Perché uno pensa che sia una chiusura, un punto. E invece nell’esatto momento in cui smetti di essere in viaggio per tornare al mondo tuo, ecco, è lì che la storia comincia per davvero. Te la rimonti un pezzo alla volta, le dai una forma, bella, forse una sfera, la guardi, ci giochi, ti domandi fin dove cresce, fin dove si stende. Più di ogni altra cosa, la racconti. A tutti.
E allora le possibilità sono due: o nessuno ti ascolta, o tutti ti ascoltano e non possono fare a meno di essere coinvolti dal tuo entusiasmo, di desiderare visceralmente di partire seduta stante e ripercorrere quella stessa strada che tu racconti.
Come è successo nel caso di #ReStartSud.
Sono partita senza sapere cosa aspettarmi, e sono tornata a casa con cento storie in valigia che smaniano per uscire a farsi raccontare. E allora via, si riparte, ancora, dentro a una terra, la Basilicata, che è oasi e deserto insieme, che tace e grida nello stesso momento.
Ho attraversato campi aridi e sterminati puntellati dal fascino di virtuose pale eoliche, sulla strada, in mezzo al niente, su per tornanti tra picchi pietrosi e boschi verdi, colli dolci e valli arse. Luoghi dove il mondo cadeva tutto dentro un pozzo solitario in mezzo a un prato o tra le fronde dell’unico ulivo lungo il cammino, lì, uno soltanto, che perché mai qualcuno ha piantato lì un solo ulivo? O dove sono tutti gli altri, che fine hanno fatto?
C’era un uomo che raccontava del suo quasi centenario nonno che per sfuggire alla miseria, e talvolta anche alla noia, pensava e insegnava alle persone che aveva intorno ad assemblare macchine agricole e ho imparato che le storie si costruiscono. Letteralmente. Siamo tutti artigiani all’opera nelle nostre officine. Anche se innovi e costruisci macchine agricole da 2000 pezzi apposta per un terreno pietroso, resti un artigiano che costruisce storie. Sempre.
E da lì di nuovo in viaggio, su una strada costeggiata solo da terra bruna, alla radio passa Wish you were here e qualche rudere forse si palesa stanco e sconfitto dal tempo ma indeciso sulla resa, resterà lì ancora un po’. Da lontano, in mezzo al giallo e al verde incerto, un dolce rilievo, un seno scosceso, e in cima un blocco di pietra di colore uguale a quello del paesaggio, roba che lo riesci a distinguere solo per gli spigoli il castello di Monteserico. E una volta dentro ti aspetti di trovarci storie di re e cavalieri, di forza e affermazione di potere, e invece, sai cosa?, si parla di feudatarie donne e di dive del cinema muto che attraversano al mattino campi bagnati di rugiada. E i tuoni e una pioggia sottile che cade su tutto mentre scopri che quel castello non è altro che l’icona più precisa della Basilicata, sconosciuto e affamato.
Dopo, non so, sarà il vino del pranzo, o davvero l’ottima dose di buon umore che si respira, fatto sta che a La Martella siamo diventati come i Beatles sulle strisce di Abbey Road, solo che noi siamo un po’ più di quattro, un branco di cretini, avrà pensato chi ci ha visti
Poi è il momento di entrare in una tipografia, di affrontare il cliché dell’odore della carta e dell’inchiostro che sì, sarà anche un cliché, ma vuoi mettere il piacere di lasciarti sedurre i sensi, di vedere quegli odori nascere, crescere e sentirli poi irresistibili mescolarsi insieme? E pensare poi che anche quei pezzi di carta stampata, anche loro girano mezzo mondo ma senza scordarsi mai da dove sono venuti.
Matera ci accoglie infine al traguardo di una giornata che non è ancora terminata. E qui posso anche stare a raccontarvi tutto quello che mi pare, i Sassi, Pasolini, il pane, ma non ce n’è bisogno. Matera, candidata capitale europea della cultura per il 2019, lei vi sa raccontare tutto da sé, anche solo col silenzio di quelle pietre immobili o con le luci che paiono sopite in un centro storico imbevuto di passato.
Il mattino ci porta ancora in viaggio, dove la terra sembra un plastico incompleto con quegli arbusti radi che puntellano ogni tanto il paesaggio. E la sorpresa di renderti conto che in Basilicata per spostarti da un posto all’altro in mezzo a quel deserto ci passi sempre. Meraviglia. Fino ad un altro capannone, dove appena entri ti scordi di stare in Basilicata. Ti pare piuttosto di essere arrivato in un distretto industriale senza pari, robe di laser e lucidatura e acciaio inossidabile. Eppure, appena oltre l’uscita di sicurezza, eccoli lì che ti aspettano ancora, di nuovo, quel verde e quel giallo ai quali gli occhi sono ormai abituati.
Poi ancora in macchina, attraverso i Calanchi, che quelli non ve li posso raccontare, dovete andarveli a vedere, ve l’assicuro. Dicono assomiglino alla luna e il paesaggio, mutevole nel tempo, è tutto argilla. Ma se a questo punto vi dicessi che nel mezzo dei Calanchi c’è un pistacchieto che a Bronte se lo sognano, voi ci credereste? Che c’è una signora dai riccioli grigi che fuma sigarette che prende da una custodia di pelle e che ha sulla facciata dipinto Il quarto stato? E che si può, sempre in mezzo ai Calanchi, mangiare un intero menù a base di pistacchi? A tutte queste cose, insomma, voi ci credereste?
Fino poi a Bernalda, per quelle strade dove i Coppola passeggiano indisturbati, a spiare dal buco della serratura del loro portone. A parlare di cosa se non di cinema? Ma non di quel cinema da salotti intellettuali. Che non so se riesco a spiegarvelo bene, ma se il futuro del cinema digitale avesse una quarta dimensione, i ragazzi di BasiliCiak ne sanno qualcosa, chiedete a loro, sapranno raccontarvela decisamente meglio di me.
Il secondo giorno di viaggio si conclude al mare, a Marina di Pisticci, col pesce in tavola e il fuoco a bruciare sulla sabbia. E gli uliveti tutt’intorno nel buio.
Non è proprio l’alba del terzo giorno di viaggio, ma a me pare l’alba perché avrei dormito tutta la mattina. E invece si riparte, per fortuna, ancora, verso Potenza, e sulla strada incontri le Dolomiti Lucane, punte di roccia che sembrano staccarsi da tutto il resto. E qui puoi solo stare zitto e continuare a guidare alla volta di Potenza, e un nuovo distretto industriale dove però non si entra in un’altra fabbrica. Questa volta sgusciamo improvvisamente dentro un mondo visionario e favoloso come quello di Amelie, un’occhialeria artigiana, guidati dalla proprietaria che pare una ninfa leggera ed eterea, una donna che ha deciso di produrre occhiali non per nascondere il viso ma per farne quasi un vezzo.
L’ultima tappa del viaggio è il Teatro Stabile di Potenza. E qui non c’è conclusione. Mettiamo un punto, riprendiamo fiato nel ritorno dei nostri racconti, provando a restituire parte di un più vasto tanto che abbiamo avuto la fortuna di poter conoscere in questi tre giorni. E poi, solo dopo, andremo a capo.
Puntuali arrivano gli abbracci e i ringraziamenti. Puntuali arrivano i saluti. E visto che siamo in teatro, non posso che inchinarmi per dire grazie a chi mi ha voluta coinvolgere in questa avventura e stringere le mani ai compagni di viaggio, maestri per me durante tutto il cammino. Inutile dire che sono stati tutti straordinari. Fondamentale ricordare che sono persone ordinarie affamate di straordinarietà.
E non esiste, a mio avviso, modo migliore di vivere.
A presto, #ReStartSud!
– Mariagiovanna Postorino –