Festival del Film di Roma
Giochi di parole (FIDFDR?)
È appena finito il Festival Internazionale del Film di Roma, e già la manifestazione vede una “Spada di Damocle” dondolare sulla propria testa: la possibilità che il neologismo, coniato dal suo direttore Marco Müller, FestAval, possa vedere la luce l’anno prossimo. Un flagello di nomi e aggettivi (l’acronimo? FIDFDR o FIFR…) per qualunque grafico, ufficio stampa, pubblicitario ed enigmista che si rispetti. Ma, in fondo, questa del 2013 è stata un’edizione di tutto rispetto. Una manifestazione in bilico tra il pop e il raffinato, in grado di trasportare gli accreditati nell’inferno (voluto) delle pellicole presentate.
Premi e riconoscimenti (pronti, polemiche, via!)
Su tutti i film presentati ha vinto un documentario, Tir, del friulano Alberto Fasulo. Un viaggio in autotreno insieme a Branko, ex insegnante che per guadagnare qualcosa in più ha abbandonato la cattedra per il volante di un tir. Impossibile non pensare al Sacro GRA vincitore di Venezia e che il reportage (per quanto romanzato) stia prendendo il posto della fiction. Su Twitter è nato l’hashtag #sacrotir. Anche la vittoria assegnata all’invisibile Scarlett Johansson, presente in Her di Spike Jonze solo con la voce, lascia un po’ di amaro in bocca, soprattutto se si pensa che il film verrà distribuito in Italia doppiato, con buona pace del premio e di chi ha deciso di assegnarlo. Miglior attore è stato giudicato Matthew McConaughey, il cowboy omofobo e sieropositivo del film di Jean-Marc Vallèe Dallas Buyers Club. Profumo di glamour all’ennesima potenza in questi due premi: la coppia di attori era già stata scelta da Dolce e Gabbana per la pubblicità del loro profumo The One.
Ma Kurosawa non era morto? (Oriente vs USA)
No, Akira Kurosawa non c’entra. Il regista giapponese Kiyoshi (vincitore del premio per la Miglior Regia) condivide solo il cognome ma nessuna parentela con il famoso Akira. Il suo Seventh Code è ambientato in Russia e la sua protagonista, Atsuko Maeda, delle AKB48, è una delle icone pop più famose in Giappone. Sempre del Sol Levante il regista Takashi Miike, che non ha ricevuto alcun premio ma tante risate in sala, per il suo improbabile detective Reiji, nel film The Mole Song – Undercover Agent Reiji. Quel geniaccio folle di Miike ha presentato anche la mini serie in dieci episodi Blue Planet Brothers, la storia d’amicizia intorno alla pausa sigaretta di tre personaggi: un samurai, un alieno della costellazione del Cigno e una fata-folletto. Dalla Corea del Sud Snowpiercer, di Joon-ho Boo, con un cast a livelli stellari: da Chris Evans in splendida forma a Ed Harris, da una strepitosa Tilda Swinton all’Old Boy Kang-ho Song. È invece dalla Cina che arriva con furore Tsui Hark per presentare il suo Young Detective Dee: Rise of the Sea Dragon 3D. Un filmone in 3D con cinesi volanti e che decreta, sotto la pesante mole di effetti speciali/investimenti da capogiro, la sconfitta a tavolino della cinematografia made in USA. Aiutato dal film di chiusura, The White Storm di Benny Chan, la più grande produzione di tutto il 2013. Ma gli USA si rifanno subito con il successo di pubblico: alla prima di Hunger Games: La ragazza di fuoco l’Auditorium Parco della Musica ha subìto un attacco in stile zombie. Ragazzine urlanti volevano solo veder sfilare la loro eroina, Jennifer Lawrence, in versione bionda e sorridente (esattamente l’opposto del film) e la cavea si è trasformata nell’arena che si vede nel film: una trasposizione live degli Hunger Games piena d’amore per la protagonista.
Cinefili di tutto il mondo: unitevi in una risata (e non fatevi mangiare!)
Un Gesù-statua vivente. Dalla croce in gommapiuma estrae un fucile ed inizia così il nuovo film di Alex de la Iglesia, Las Brujas de Zugarramurdi. Ma il bottino, qualcosa come 25000 fedi nuziali, ha davvero un pessimo karma. Una commedia dove le streghe, capitanate da una meravigliosa, cattivissima e divertentissima Carmen Maura, esistono davvero e si mangiano – letteralmente – gli uomini che incappano sul loro cammino. Altro tipo di risate quelle destinate a The Green Inferno, di Eli Roth. Il geniale ragazzaccio riporta nei cinema il vecchio e caro cannibal-movie all’italiana: se siete vegan forse non apprezzerete la pellicola, ma se avete amato Cannibal Holocaust capirete.
Se di inferno si tratta, non puo’ mancare il Benjamin Malausséne, professione: capro espiatorio, di Nicholas Bary ne Il Paradiso degli Orchi, tratto dal romanzo di Daniel Pennac. Un film che ha il merito di far vedere a noi italiani come si puo’ realizzare un bel film dal sapore internazionale anche se si è europei.
Sulla vita degli accreditati (ontologia della fila)
Per andare in bagno, la fila. Per un caffè, la fila. Per assistere ad una proiezione, ovviamente, la fila. Se mettessimo insieme tutte le file che si sono create all’Auditorium Parco della Musica potremmo andare e tornare dalla Luna. In fila, ovviamente. La fila è un microcosmo, un essere vivente formato da più parti: ogni parte è composta da un individuo a se stante, con la propria cultura (“Chi è Chaplin?”) e la propria educazione (o diseducazione). La fila è il luogo dove si socializza, si canta, si dorme, si ascoltano gli altri, ma soprattutto, si polemizza (e, a volte, si litiga). La fila è l’inferno in terra, o almeno, quello che più gli somiglia. La fila è il film-live che hanno vissuto gli accreditati e che mancava nel programma ufficiale. Perché la fila si salta, se si puo’.
Il Poliglotta (Marco Müller)
Ha giocato con i fotografi e mangiato pane e Nutella, ha scherzato con le delegazioni. Ha parlato in cinese, in giapponese, in russo, in portoghese, in inglese e francese, ovviamente. Marco Müller è stato un vero fenomeno. E i numeri dell’edizione lo confermano. Mai visto un Festival così, anche se lui, in cuor suo, lo chiamerà FestAval per sempre.
– Valeria Jannetti –
www.valeriajannetti.it