Il Canada di Alice Munro
C’è un preciso momento dell’anno in cui, come per magia, le distese boschive del Canada sembrano animarsi: le cime dei pioppi, dei larici e delle betulle si infiammano d’oro e di rosso. Tappeti di foglie invadono i sentieri alberati, dove si nascondono martore e procioni. Un gioco di luci, dalle tinte autunnali, si riflette sulle piume di ghiandaie e oche selvatiche.
Durante l’Indian Summer, periodo compreso tra la fine di settembre e l’inizio di novembre, il fenomeno del foliage si manifesta in tutto il suo splendore, dando vita ad un’autentica esplosione cromatica: tonalità calde che vanno dall’ambra al cremisi, sino all’ocra, al ruggine e alla porpora. Uno scenario reso ancora più suggestivo dal contrasto col colore algido e trasparente dei laghi, dove, secondo le leggende tradizionali, abitano spaventose creature, come l’Ogopogo e il Manipogo.
Un viaggio attraverso le scenic byways, le superstrade scenografiche che corrono lungo gli Stati del Nord America, i parchi nazionali, i Grandi Laghi, le praterie, le regioni artiche, nelle quali si aggirano l’orso grizzly, la lince e la capra delle nevi. E ancora, i vigneti, le catene montuose contro cui spirano i venti freddi provenienti dal Labrador, le cascine che profumano di crostata allo zucchero, sciroppo d’acero e tourtière, un pasticcio a base di selvaggina.
Luoghi silenziosi e appartati, che hanno ispirato la scrittrice Alice Munro, nata ottantadue anni fa in Ontario e vincitrice, fresca di nomina, del Premio Nobel per la Letteratura.
In un’intervista, la Munro, memore di anni difficili, segnati dalla crisi economica, descrive così la sua terra d’origine: “Sono nata nel 1931, durante la depressione […]. Non eravamo disperatamente poveri. Eravamo mentalmente poveri. Coltivavamo il nostro cibo, le nostre verdure. E nostro padre allevava volpi argentate. Allora erano molto alla moda” .
Un resoconto assai diverso da quello attuale, che fotografa uno Stato con un basso livello di disoccupazione, un eccellente sistema sanitario e che ospita una delle città più vivibili al mondo per qualità dei servizi: Vancouver, nella British Columbia.
E, proprio a Vancouver, la Munro si è trasferita nel 1951, per sposarsi e crescere le figlie Sheila, Catherine, Jenny e Andrea.
Di quel periodo l’autrice conserva dei ricordi molto nitidi: “Vivevamo a Vancouver, nei sobborghi. C’erano all’epoca, in Canada, delle piccole riviste e una radio che promuoveva la letteratura nazionale. Ho cominciato a vendere qualche racconto, ad essere conosciuta nei giri che si occupavano di letteratura…”
Il paesaggio canadese, protagonista silente dei suoi racconti, viene descritto come un luogo arretrato fino alla grettezza, cristallizzato in un eterno presente. Al suo interno si muovono, come figurine smarrite, donne messe di fronte alle grandi scelte della vita: nascite, matrimoni, aborti, tradimenti.
L’atemporalità tratteggiata dalla Munro trova, altresì, espressione in ambito cinematografico, attraverso una consolidata attività documentaristica, della quale il Canada può fregiarsi. Il tema privilegiato è il rapporto intenso, spesso simbiotico, tra l’uomo e la natura.
All’interno di questa vasta produzione, i luoghi si svelano, di fotogramma in fotogramma: spazi sterminati, nei quali la vita sembra sospesa, alienata.
Talvolta vengono mostrate scene di caccia (come ne Il grande Nord di Nicolas Vanier, girato nelle foreste dello Yukon, al confine con l’Alaska, oppure come in Sharkwater di Rob Stewart, dove si affronta il tema della mattanza degli squali), altre volte si sceglie di raccontare la vita di popolazioni che vivono ai margini della società, come gli Inuit (è il caso di People of a Feather di Joel Heath).
I suoni della natura sembrano agglutinarsi e fondersi col linguaggio umano, in un perfetto gioco a incastro, nel quale il ricorso alla tecnologia non è contemplato.
Eppure, basta spostarsi nelle grandi città, come Toronto e Montréal, per lasciarsi conquistare dagli innovativi studi in campo scientifico, tecnologico e informatico.
È il Canada delle tante sfaccettature: del bilinguismo, dei ranch di campagna e dei grattacieli urbani, della musica tradizionale e dei grandi concerti delle star (da Céline Dion ad Alanis Morrisette, passando per Avril Lavigne e Nelly Furtado), del caribù affumicato servito nelle osterie e dei cheeseburgers nei fast-food.
Passato e presente si fondono l’uno nell’altro.
E, proprio da questa convivenza sofferta, contrastata, sono nati anche i racconti di Alice Munro.
Perché oggi, a sfogliare le pagine delle sue opere, si prova sempre lo stesso incanto nello scoprire che quella cittadina nell’Ontario – fatta di fonderie, stalle intiepidite dal fiato delle mucche e rigore protestante da cui fuggire – riecheggia con forza nelle avventure metropolitane degli anni successivi, diventando specchio delle nostre vite.
– Paola Tribisonna –