Venezia 70: Guida alla sopravvivenza
Mettiamola così: durante la Mostra del Cinema di Venezia, alle scene migliori non si assiste in sala ma fuori. Quella del Festival è un’esperienza al limite: riuscire a destreggiarsi tra vaporetti dagli itinerari incerti, navette fantasma, sistemazioni improbabili diventa più complesso ogni anno che passa. Le mobile-home da campeggio sono scatole di sardine immerse in The Blair Witch Project, la tariffa minima degli alberghi si aggira attorno al miliardo di paperdollari e i menù da fiera non prevedono vie di mezzo tra economici panini di cartone e fettine di vitello tonnato a 8 euro l’una. Preferite la combo tenda + scatolette di tonno? Immancabile il cinefilo che russa all night long e fa tremare la canadese propria e quelle altrui, ma è pronto a rimproverarvi se vi sente tornare alla base oltre l’una di notte. Lui alle 9 del mattino deve sedersi in sala per seguire il lituano sottotitolato in polacco, come vi permettete? Ignoranti. E le ostilità non finiscono qui.
Lost in translation
C’è chi capitombola in sala stampa, chi polemizza appena può con chiunque appartenga allo staff della Mostra, chi si cimenta in clamorosi re-enactment della celebre scena di Annie Hall. La mancata segnalazione delle file per accredito, divise per colori, genera faide che manco a Siena durante il palio (faide che si riassumono più o meno così: se sei rosso, ti odio a prescindere; se sei verde non conti un cazzo). A complicare ulteriormente le cose c’è pure l’incomunicabilità più ovvia, quella linguistica: su tutti regna il munifico professionista straniero che paga il caffè con una banconota da 20 euro e poi dice al barista “Keep the change”. Quanto alla carta stampata, è davvero entusiasmante raccogliere il daily gratuito di Ciak e leggere didascalie quali “Nella foto in alto, George Clooney fa ciao-ciao”, oppure notare dove punta la freccia del trafiletto dedicato alla brava Emma Dante. So classy.
La noia
Scommettiamo che anche voi avete un amico che dice sempre che i film da Festival sono di una noia mortale? Certo, l’attenzione per certo cinema di nicchia può generare complessi d’inferiorità o risate (sentita in terrazza DiSaronno: “Che ne pensi del cinema gitano?”), ma anche le produzioni minori riservano gioie. Segnatevi questo titolo: Why don’t you play in hell?: noi non abbiamo mai riso tanto.
Consigli per gli acquisti
Quando ti ritrovi spaesato, avere un punto di riferimento è importante: il nostro aggancio tra i selezionatori (un super prof di cinema, ma non chiedeteci il nome: è persona serissima anzichenò), dietro richiesta specifica ci ha suggerito la visione di Wolfskinder e Amazzonia. Il primo… è andato, via. Confidiamo nel secondo (“Parla di una scimmietta abbandonata, in 3D”, dice il prof. Speriamo si stesse sbagliando).
C’eravamo tanto amati
Affascinante la scelta di proporre i cinegiornali Luce prima delle proiezioni: effetto nostalgia garantito, a forza di sentire che le “spettacolose” star di cinquant’anni fa erano “seguite da un gran numero di pellicole impressionabili”. Certo, “alla presenza di sua eccellenza il Ministro della propaganda” fa un po’ troppo Fascisti su Marte.
Love story
Qualcosa di più rassicurante, ogni tanto, lo si incontra: ciò che di sicuro non manca, al Lido, sono le grandi storie d’amore. Fateci caso. Non tanto a quelle sullo schermo, eh, durano poco. Memorabili restano quelle tra accreditati, compresi i due visti schiaffeggiarsi sul fondo del PalaBiennale per una misteriosa questione di chiavi perse e messaggi cancellati, e quelle tra Leoni d’Oro alla carriera e consorti. Come Friedkin, in Sala Grande, statuetta in pugno al termine di un lungo ringraziamento, che dichiara: “Ah, beh, dimenticavo. Il più grande premio che io abbia mai ottenuto è mia moglie”. Salvato in corner, il marpione. Duly noted.
The sound of silence
Al Festival trovano spazio ulteriori dilemmi. La colonna sonora di Gravity, ad esempio, è invasiva e assordante: ma nello spazio non doveva esserci il silenzio assoluto? E ancora: il triangolo Bret Easton Ellis/James Deen/Stoya di che natura è? A chi gioverà maggiormente il colossale fiasco di The Canyons, che contiene dialoghi degni del miglior Maccio Capatonda (e un protagonista indistinguibile dalla Blue Steel)?
Il mucchio selvaggio
Soffermiamoci ancora un attimo sul trio Stoya, Deen ed Ellis. Li abbiamo avvistati allo stesso ristorante (riconoscerli non è stato immediato. Poi Stoya si è alzata). Presenti anche Marzullo e Lillo, senza Greg, alle prese con cene che difficilmente ci saremmo potuti permettere. (Abbiamo provato lo stesso, però, pur di avvicinarci alle strane creature: il dubbio di dover restare a lavare i piatti ci ha rovinato appena l’appetito. A bloccare la digestione ci ha pensato l’aria condizionata del Palazzo del Casinò, invece.)
Tutti gli intellettuali giovani e tristi
Ma a tirarci su di morale, tra una proiezione e l’altra, sono i commenti in sala. Dopo la première di Via Castellana Bandiera, ad esempio, memorabile è la spettatrice che ha osservato: “Ah, ma quindi quelle due non erano madre e figlia?”, e ancora “No cioè ma hai visto la parte in cui la vecchia non le fa passare?”. D’accordo, il film è finito a mezzanotte e la temperatura della Sala Grande aiutava la letargia. Ma la commentatrice si meravigliava dei due presupposti base da cui muove il film: protagonista è una coppia lesbica intrappolata in auto da una feroce ottuagenaria piantata in mezzo alla strada. Forse ha ragione l’irriducibile di due file dietro: “Non ci sono più gli accreditati di una volta… Guarda come vanno vestiti”.
Dead or alive
E allora, siete ancora vivi dopo la prima settimana di Mostra? Sarà la suggestione, ma la sopravvivenza è un tema forte anche in sala: sia i Fuck Bombers di Sion Sono che la Moglie del Poliziotto, sia i camionisti di Sorcerer che gli ingegneri di Miyazaki combattono per restare sulla Terra. Quanto a noi, beh: abbiamo altri 6 giorni. C’è tutto il tempo di soccombere.
– Paolo Ferro, Antonio Forestieri, Francesco Gallo, Chiara Marletta, Domitilla Pirro –