• di Host
  • Lunedì 15 luglio 2013

La dimensione mitica dei ricordi

L’apertura è a nero, con la voce dell’intervistatrice che chiede a qualcuno di presentarsi. Poi una dissolvenza mostra il viso rugoso e gli occhi liquidi di Bert Middleton, il secondo uomo più vecchio d’Inghilterra, che dopo aver pronunciato il proprio nome, chiarisce che quella intervista è l’ultima cosa che farà nella vita, e che vuole farla bene, con onestà. È così che comincia The village, serial inglese scritto da Peter Moffat e distribuito da BBC one.

In The village si racconta – o meglio, Bert racconta – la storia di un piccolo villaggio del Derbyshire, a partire dal 1914 fino ai giorni nostri (anche se la prima stagione si ferma al 1920).

Bert racconta della sua famiglia, della famiglia di agricoltori la cui fattoria confina con la loro, della scuola, dei signorotti del villaggio da cui suo fratello va a servizio, della figlia del pastore. Il tutto mentre sta per scoppiare la prima guerra mondiale.

È tutto qui, tutto rimane negli augusti confini del villaggio, e mentre guardi sullo schermo le immagini di quella storia che si dipana lentamente, con durezza, attraverso micro eventi spesso prevedibili, ti chiedi cosa sia a tenerti incollato allo schermo.

Poi lo capisci, ed è come una vertigine. A tenerti incollato allo schermo è Bert – anche se lo vedi solo per una manciata di secondi a inizio puntata -, il suo essere così incredibilmente vecchio da risultare anche incredibilmente precario. Ogni giorno, ogni ora per lui potrebbe essere l’ultima.

E allora tutto quello che Bert ha da dire, da raccontare, diventa di colpo importantissimo, perché Bert – il secondo uomo più vecchio d’Inghilterra – ha vissuto cose di cui ormai solo lui e un altro uomo hanno avuto esperienza diretta.

Che poi, il fatto che Peter Moffat scriva la sceneggiatura secondo un punto di vista onnisciente, facendoci dimenticare nel corso dei singoli episodi quella breve sequenza iniziale e il volto decrepito di Bert, e mettendo in scena eventi a cui all’epoca lui non era presente, è solo un dettaglio, perché è chiarissimo invece che quelli che vediamo sullo schermo siano i suoi ricordi.

Non è un caso, infatti, che il bambino sia quasi il deus ex machina della storia. Si deve a lui la rivelazione che sua madre è incinta per la terza volta, è lui che fa respingere la domanda di obiezione all’arruolamento obbligatorio per motivi di coscienza presentata dal suo maestro, è sempre lui a far gravare su suo padre il sospetto di un crimine, a compromettere il già precario equilibrio mentale della figlia del signorotto locale facendole ritrovare il cadavere del suo cane. È lui a far fucilare per codardia suo fratello Joe.

È ovvio che Bert non può essere stato davvero responsabile di tutto questo, che quella è semplicemente la sua percezione della storia, una percezione velata dal rimpianto e dal senso di colpa, ma al tempo stesso non possiamo averne la certezza perché non esiste un’altra versione dei fatti, non c’è più nessuno che possa fornirla.

All’inizio della terza puntata Bert annuncia infatti che l’uomo più vecchio di Inghilterra è morto, che adesso è lui ad aver preso il suo posto. È l’ultimo vittoriano al mondo, l’unico che rimane. L’unico che può raccontare la battaglia di Waterloo così come gliel’ha raccontata la figlia di uno che l’ha combattuta.

Dopo quella puntata ho spento lo schermo e sono andata a trovare mia nonna, che ha novantasei anni ed è ormai l’unica che può raccontarmi dell’epidemia di influenza spagnola, di quando suo padre fece installare in casa il telefono, o di quando, ancora bambina, i suoi genitori la portarono a Milano, alla Scala, a sentire la prima della Turandot, quella diretta da Toscanini.

– Nonna, ma come fu quando Toscanini smise di dirigere, si girò verso la platea e disse che lì finiva l’opera perché Puccini era morto?

– Che devo dirti… Toscanini aveva certe sopracciglione nere… io mi ricordo soltanto che faceva una gran paura!

Ecco, se non me l’avesse raccontato lei, questo non l’avrei mai saputo.

– Benedetta Gargano –

Benedetta Gargano ha frequentato il primo biennio della Scuola Holden, quello del 1994/’96. Ora è sceneggiatrice di “Un posto al sole” e scrive sul suo blog “La gastronomica volante Stanislvskij“.

Host

Nata nel 1994 a Torino la Scuola Holden è una scuola di Scrittura e Storytelling dove si insegna a produrre oggetti di narrazione per il cinema, il teatro, il fumetto, il web e tutti i campi in cui si può sviluppare la narrazione. Tra i fondatori della scuola Alessandro Baricco, attuale preside.