I trucchi delle mozioni contro la 194
«L’aborto è un abominevole delitto. Fosse per me la 194 non dovrebbe esistere» (Alberto Zelger)
«Se io fossi al governo lancerei la sfida del divieto di aborto su tutto il territorio nazionale» (Luigi Amicone)
Zelger e Amicone sono i due firmatari di una identica mozione presentata prima a Verona (e già approvata), e ora a Milano per finanziare associazioni legate al cosiddetto movimento pro-vita e contro la 194, legge che ha salvato le donne dall’aborto clandestino e che ha affermato il principio di autodeterminazione sui loro corpi e sulle loro scelte. Come in una specie di contagio, la mozione è stata presentata anche a Roma, a Ferrara, a Sestri Levante e un’altra ancora, per informare le donne sui danni alla salute causati da un’interruzione di gravidanza, è stata proposta qualche settimana fa a Trieste, ma poi ritirata.
Tutte queste mozioni – che sono sostanzialmente copincollate da quella di Verona – si basano su una strategia e su un’ambiguità che i proponenti, molti politici e anche alcuni giornali stanno cercando di alimentare: il trucco consiste nel dire di voler applicare la 194 nella sua totalità sostenendo però delle associazioni che sono legate a movimenti che vogliono abrogare la 194.
Le mozioni vogliono innanzitutto affermare un fatto simbolico proclamando le città in cui sono state presentate “a favore della vita” o “degli indifesi” (nel caso di Ferrara). E chi si potrebbe opporre dicendo che no, siamo invece a favore della morte? La strategia sta naturalmente nell’appropriazione indebita della parola “vita” che va in questo caso automaticamente collocata all’interno di un contesto ben preciso: la vita a cui si fa riferimento è quella del feto, innanzitutto, che servirà a sua volta per raggiungere altri obiettivi, mentre la vita della donna viene ridotta ad un’unica funzione, quella riproduttiva. Luigi Amicone, consigliere comunale a Milano di Forza Italia che ha presentato la mozione, che è legato a Comunione e Liberazione e che è fondatore del settimanale Tempi, mi ha spiegato che «L’atto simbolico è fondamentale. Ci troviamo in un contesto di crisi demografica, in cui si chiede la liberalizzazione della droga, e in cui accompagnare la gente a suicidarsi è diventata una cosa umana. Questo atto simbolico è chiaramente una polemica sotterranea con i cliché che in nome della libertà delle persone fa passare come emancipatorio il fatto di dare l’idea all’individuo che quando è un peso per la società o è sballato può fare quel che si sente di fare». Certo, una gravidanza non è però né una tossicodipendenza né una malattia terminale, verrebbe da dire.
Il secondo trucco delle mozioni sta nel porre tutta la questione in termini positivi: si vuole dare un incentivo alla maternità, la si vuol tutelare e si vuole che «venga effettivamente rispettata la legge 194» che all’articolo 1 dice che stato, regioni ed enti locali devono promuovere iniziative necessarie per evitare che la legge stessa diventi uno «strumento per il controllo delle nascite». Va detto però che la legalizzazione dell’aborto ha dimostrato con i fatti e con i numeri (del ministero della Salute) che l’interruzione di gravidanza non è mai stata un mezzo per il controllo delle nascite e che le mozioni finanziano progetti e associazioni esplicitamente legate al Movimento Per la Vita, che mette in discussione l’esistenza stessa della 194, così come molto sinceramente sostengono da anni i vari firmatari. Spostano cioè il centro del problema sul sostegno economico alle donne che già intendono procedere con un’interruzione volontaria di gravidanza. Il principio reale e fondante è dunque quello del dovere esistenziale e naturale che avrebbe una donna di portare a termine una gravidanza, dovere non rispettato perché semplicemente quella donna non ha a disposizione il denaro necessario.
Chi contesta queste mozioni non mette in discussione il principio dell’aiuto alle persone in difficoltà, ma vuole mostrare che la vera questione è semmai la responsabilizzazione a una sessualità consapevole. Se l’obiettivo è quello di fermare gli aborti, vanno fermate le gravidanze indesiderate: vanno finanziati i consultori pubblici, si deve lavorare a favore di una contraccezione gratuita, vanno promossi veri corsi di educazione sessuale nelle scuole. Lo faccio notare ad Amicone che mi racconta di «aver ascoltato l’ultimo stupendo discorso di Beppe Grillo che si conclude con una battuta eccezionale: per favore ricordiamoci di avere ironia, perché senza ironia non c’è umanità». E che suggerisce di assumere nei confronti della 194 «un atteggiamento che ha una certa ironia, cioè un certo distacco da ciò che è stata per anni una battaglia ideologica» (da una sola parte, ovviamente: ché si parla di una lotta sulla vita e per la vita delle donne, e di ideologico c’è ben poco). Amicone ammette comunque che forse la mozione non è completa, e che sostenere l’educazione sessuale è una cosa che va bene: «Ma sui contraccettivi c’è da discutere: la mia posizione non li sostiene».
Se allora la soluzione è finanziare associazioni anti-abortiste che lavorano contro una legge dello stato e contro la libertà delle donne, il posizionamento e il problema reale diventa molto evidente. Come lo diventa l’obiettivo finale, tanto più se sommato alla scelta di un ministro come Lorenzo Fontana, che ha tra l’altro aderito al Comitato No194, gruppo che promuove iniziative per abolire del tutto la 194 e che è legato a Forza Nuova (a Verona, il prossimo 24 novembre ci sarà sia il congresso internazionale di Forza Nuova che il corteo del Comitato); se sommato al ddl Pillon contro cui le femministe e i centri anti-violenza scenderanno in piazza il prossimo 10 novembre; se sommato all’esaltazione ormai quotidiana del binarismo sessuale, del diritto naturale, dell’eteronormatività obbligatoria e dell’opposizione al gender (aiuto, il gender, che è questa cosa qua e che è nato così).
Le mozioni provengono da certe aree politiche che stanno finalmente mostrando la loro santa e salda alleanza, che non è nuova, ma che “finalmente” tradisce un lavoro condotto da sempre insieme: alleanza tra formazioni di destra/estrema destra e movimenti cattolici. Entrambi portano avanti discorsi identitari e discorsi colonialisti sul corpo delle donne che, come in guerra, come nelle dittature e come nei percorsi di radicalizzazione, tornano ad essere un campo di battaglia. Donne, dunque, come uteri vaganti a disposizione per aumentare la natalità e per tornare a un’Europa cristiana, come ha esplicitamente affermato Fontana. Donne come mezzi per far ringiovanire la popolazione, per «far sorgere un sole di positività su questo paese ripartendo dai bambini», dice Amicone. E donne, infine, da difendere dai barbari stupratori venuti da lontano per fondare le proprie politiche razziste.
La nuova ondata femminista attiva a livello nazionale e mondiale l’ha ben capito. E rispetto al passato si distingue per un approccio esplicitamente intersezionale, collocandosi cioè nel punto in cui le rette dell’oppressione esplicitamente si intersecano.