Ma che vuol dire «ho molti amici gay»?
Oggi sui giornali ci sono molte nuove interviste a Lorenzo Fontana, che è diventato ministro della Famiglia e della Disabilità. Ne pesco una a caso, quella sul Corriere della Sera, che è molto deprimente.
Fontana propone di aumentare la natalità abbassando l’Iva per tutti i prodotti che riguardano l’infanzia e mettendo «in atto anche delle politiche per cercare di ridurre il numero degli aborti»: cioè «intervenire per potenziare i consultori così di cercare di dissuadere le donne ad abortire»: credo che il nuovo ministro non abbia ben chiaro come siano nati i consultori o che cosa siano. O forse si riferisce solamente ai consultori non laici e di ispirazione cristiana. E credo anche che non gli sia molto chiaro il fatto che la bassa natalità dipende dalla scelta di non fare figli (che ha ragioni molto complesse e profonde) e non certo dal numero di aborti. Ma tant’è.
E poi, parlando di diritti LGBTI, dice una frase da repertorio: «Ho tanti amici omosessuali», che è la premessa rituale che precede ogni discorso o atteggiamento omofobo. E infatti, Fontana aggiunge: «Del resto ho vissuto a Bruxelles tanti anni dove ci sono anche nelle istituzioni». Pensa che roba.
Ma che cosa significa esattamente la frase «ho molti amici gay»? Niente, per due motivi. Innanzitutto perché l’affermazione è sempre seguita da un “però” e serve semplicemente a legittimare le proprie posizioni omofobe che, d’altra parte, non potrebbero non essere tali visto che Fontana è un “eteronormativo sfegatato”, cioè un ideologo dell’eterosessualità obbligatoria. E serve a legittimarle premurandosi però di scardinarne (formalmente) l’evidenza d’odio.
Il secondo motivo per cui quella frase non ha senso è che funziona come un trucco per scivolare da un piano all’altro, per confondere le cose. Quando Hannah Arendt scrisse La banalità del male e venne molto criticata da Gershom Scholem, filosofo israeliano, che la accusò di non aver avuto cuore nell’occuparsi del loro popolo e del caso Eichmann, lei gli rispose. «Non amo nessun popolo, o collettività. Né il popolo tedesco, né quello francese, né quello americano, né la classe operaia, né nulla di questo genere. Io amo solo i miei amici e la sola specie d’amore che conosco e in cui credo è l’amore per le persone».
In modo simile il filosofo Carl Schmitt, nei suoi scritti, fece una distinzione molto netta tra il nemico politico e il nemico privato, tra l’hostis e l’inimicus, tra il polemios e l’echthros (e dunque anche tra l’amico privato e l’amico pubblico). Solo l’hostis, cioè il nemico pubblico, è una categoria del politico: non è l’odio, l’inimicizia privata, a creare il nemico, ma il diritto dello stato. Così come non sono i sentimenti personali, i legami privati e le proprie simpatie a creare l’amico pubblico. L’amicizia e l’inimicizia (nella sfera politica) non vanno intese come relative al mondo personale. Nemico e amico non sono insomma gli avversari privati o le persone a cui privatamente si è legati: si può avere un amico-nemico privato che non è un amico-nemico pubblico e si può avere un amico-nemico privato che è un amico-nemico pubblico.
Di conseguenza, la frase «ho molti amici gay» pronunciata da un politico che poco più avanti spiega che le famiglie arcobaleno non esistono per legge e che continueranno a non esistere finché lui sarà ministro (è il sottinteso) serve solo a confondere i piani tra privato e pubblico. Serve a spostare la posizione da un piano all’altro, con un trucco.
Ci importa che Fontana abbia molti amici gay? No. Dirlo serve solo a coprire la sua posizione politica con un atteggiamento e con dei sentimenti che politici non sono affatto.