Escludere è sempre discriminatorio?
La scorsa settimana alcuni bianchi sono rimasti talmente scioccati dal fatto che un piccolo festival afro-femminista parigino avesse degli spazi riservati solo ad alcune e ad alcuni che la sindaca della città Anne Hidalgo ne ha chiesto l’annullamento e che i gruppi anti-razzisti più importanti del paese hanno chiamato in causa Rosa Parks dicendo che si sarebbe “rivoltata nella tomba”. A dire il vero i primi a sollevare la questione, il 26 maggio e non è un punto secondario, sono stati alcuni esponenti del Front National che hanno parlato di «un festival vietato ai bianchi». Questa definizione è stata ripresa dopo qualche ora da un’associazione che combatte contro il razzismo e l’antisemitismo, dalla sindaca di Parigi due giorni dopo, e in generale da molti giornali e siti di news (compreso Il Post). L’espressione “festival vietato ai bianchi” è sbagliata e in generale mette nella necessaria posizione di difendere il fatto che alcuni spazi centrati intorno a determinati gruppi, composti ad esempio da donne o da neri, non siano in alcun modo razzisti o sessisti.
La storia di che cosa sia il separatismo dal punto di vista politico e di quale sia stata e continui ad essere la sua importanza nei movimenti antirazzisti e femministi l’ho raccontato qui, nella seconda parte del pezzo. Ed è una storia che è necessario conoscere prima di prendere frettolosamente una posizione sul festival o in generale sui gruppi di lavoro pensati in questo modo. Il separatismo non è un obiettivo, ma uno strumento, non è una segregazione, ma una scelta intermedia e necessaria.
Va poi detto che tutte e tutti noi entriamo quotidianamente negli spazi separatisti organizzati in luoghi non privati, non solo come femministe, ma anche come studenti nelle assemblee o come lavoratori nelle riunioni dei dipendenti. Le assemblee degli studenti o le riunioni sindacali sono spazi esclusivi non basati sul genere o il colore della pelle? Sì e no, nel senso che all’inizio della storia non c’è una differenza-di-genere-e-basta o una differenza-di-etnia-e-basta, ma una differenza di genere o di etnia su cui l’esclusione o la discriminazione hanno già agito e continuano ad agire fuori da lì. L’esclusione esiste, cioè, innanzitutto nel contesto in cui tutte e tutti siamo, non all’interno di quei gruppi. I quali risultano disturbanti proprio perché rendono tutto questo evidente, perché sono lì a testimoniare il problema con il loro corpo politico ben identificabile e sovversivo. L’obiettivo non è solamente riflettere sulle strutture di potere esistenti, ma cercare di modificarle.
La faccio facile: se non ci fosse mai stato niente di cui parlare, probabilmente il separatismo non sarebbe esistito, un gruppo di amiche sedute in cerchio non avrebbe mai fatto paura a nessuno, e nessuno mai avrebbe pensato di vietare loro di sedersi in quel cerchio. Capisco per chi non ne ha esperienza che possa sembrare difficile capire perché questi spazi riservati siano così necessari. Ma il modo più semplice per capirlo è proprio quello di riconoscere che fuori da lì, nello spazio pubblico, comune, e nei confronti di quei precisi soggetti c’è un’oppressione, c’è un’esclusione originaria che continua ad agire.
Se i bianchi facessero la stessa cosa sarebbe la stessa cosa? Se i bianchi di tutto il mondo o di Parigi volessero riunirsi tra loro in un luogo esclusivo per discutere della loro oppressione sistemica e storica in quanto bianchi sarebbe piuttosto ridicolo. Gli “spazi bianchi” esistono eccome, ma sono spesso basati sul pregiudizio e la netta nozione di superiorità etnica, costruiti in opposizione alla diversità, al multiculturalismo e dunque inaccettabili.
Qual è stata la reazione, invece? La più volgare è quella del Front National, partito di destra radicale che ha strumentalizzato politicamente il festival per far passare il proprio messaggio: che i non-bianchi stanno invadendo la Francia e creano addirittura spazi da cui i bianchi sono segregati. E vabbè. Per quanto riguarda la sindaca: possiamo anche dire che Hidalgo non abbia aderito a questa posizione, ma ha comunque scelto la versione dolce, convenzionale, rassicurante e repubblicana per affrontare questioni invece radicali e reali che altre e altri stanno cercando di pensare e modificare senza trucchi (per dirne solo una: ogni anno in Francia tra le 10 e le 15 persone non-bianche muoiono negli scontri con la polizia). L’anti-razzismo di stato o il femminismo di stato (che usa strumenti vuoti e quantitativi come ad esempio le quote rosa) pretendono di aver creato attraverso questa specie di cosmesi un luogo formalmente misto, al cui interno, però, rimangono attivi molti meccanismi di dominazione, nonostante la mescolanza stessa e anzi talvolta grazie a essa. La sindaca di Parigi avrebbe dovuto dunque riconoscere la debolezza o il limite di queste operazioni e ammettere che nonostante la parità formale esistono dei soggetti discriminati in modo sistemico. I gruppi anti-razzisti avrebbero da parte loro dovuto ammettere che un pezzo delle persone che intendono rappresentare si sente escluso. Avrebbero potuto tutti loro, infine, farsi da parte o capire cosa in quei luoghi avrebbe potuto migliorare la loro stessa lotta.
Una delle rappresentanti del collettivo che ha organizzato il festival, a proposito dei critici, ha spiegato a una giornalista del Guardian: «Qualcuna di queste persone ha mai avuto un problema ad affittare un appartamento? È mai stata troppo qualificata per una posizione di lavoro e quindi non ancora assunta? È mai stata seguita in un negozio? È mai stata bocciata da un insegnante all’università a causa della sua razza? Chiedetevi se siete mai stati discriminati per il vostro genere o per il colore della vostra pelle quando cercate di fare le cose di tutti i giorni. Forse allora capirete».