Il sessismo da salotto di Massimo Gramellini
Nel suo Buongiorno di oggi (buongiorno un corno) Massimo Gramellini commenta la decisione del nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan, di vietare sui mezzi di trasporto pubblici della città i cartelloni pubblicitari che possano sminuire le donne e promuovere aspettative non realistiche del corpo femminile. Khan (che aveva preso un impegno durante la sua campagna elettorale dando ascolto a migliaia di donne che avevano protestato e a una petizione contro una specifica pubblicità che aveva raccolto più di 70 mila firme) nello spiegare la scelta ha citato le sue figlie adolescenti dicendo «di essere estremamente preoccupato» per questo tipo di immagini.
Ecco cosa scrive Gramellini:
«Chiederò al sindaco di mandare al rogo le pubblicità dei maschi forniti di criniera leonina: mi sento discriminato nella mia calvizie. E quelle che reclamizzano oggetti di lusso, perché anche la visione di una fuoriserie fa sentire inadeguato chi non è in condizioni di permettersela».
Gramellini paragona l’immagine che replica uno dei due più classici stereotipi femminili (che sono quello della donna ridotta a corpo materno o a corpo erotico pronto all’uso, ed è questo il caso) a un uomo non-calvo. In effetti il mondo è pieno di “criniericidi” e un giorno su tre un uomo con molti capelli viene ucciso in-quanto-uomo-con-molti-capelli. La tecnica di questa argomentazione è già stata smascherata dalle femministe, e proprio da quelle più giovani, che l’hanno riassunta nella formula “male tears”, “lacrime maschili”: si verifica quando un uomo, per ribattere a un qualsiasi argomento legato al genere, prende il posto della vittima. Soprattutto, con questa rapidissima e colpevole associazione e inquadrando la questione nel politicamente corretto, Gramellini dimostra superficialità e assenza totale di conoscenza della violenza di genere.
«Il politicamente corretto pensa di proteggere le persone più deboli edulcorando la realtà, anziché rendendole più forti. Nessuno sottovaluta gli effetti nefasti che le modelle anoressiche producono sugli adolescenti. Ma in genere la bellezza fa parte della vita e non può essere oggetto di censura. Altrimenti si innesca un processo al cui culmine c’è la decisione di mettere il velo alle statue. Il problema non sono i cartelloni. È la mancanza di autostima di chi, guardandoli, li paragona a sé stesso e ne soffre».
Censurare quella che Gramellini chiama “bellezza” (dando per scontata la “naturalità” di quelle foto, ma passi) sarebbe come diventare complici di quel processo che porta a velare i nudi delle opere d’arte, dice. La bellezza femminile mostrata su un cartellone pubblicitario e il velo sarebbero dunque agli antipodi. E invece no: il velo e la bellezza femminile esibita nella pubblicità, e intesa cioè come sessualizzazione del corpo femminile, sono due pratiche molto simili: e hanno a che fare con il controllo del corpo femminile. Un corpo femminile a disposizione dello sguardo maschile che decide in un caso di scoprirlo per il proprio piacere o nell’altro di nasconderlo per sottrarlo allo sguardo di altri.
«Ma non è vietando la pubblicità di un’icona ritoccata che si insegna a una ragazzina ad accettare la propria affascinante e irripetibile normalità. Si fa prima e meglio ad ascoltare le sue paranoie fino a dissiparle.
La questione, insomma, sarebbe tutta intima e domestica, e dunque da risolvere sul lettino dello psicanalista o a tavola, la sera, in cucina. La violenza di genere, invece, non è un fatto “privato”: è un problema culturale dove “cultura” non significa “mancanza di formazione” ma “insieme di regole e schemi sui quali abbiamo costruito il nostro stare insieme”. Ecco: ci sono potenti schemi culturali ancora all’opera che anche attraverso l’infinita replica dei media hanno un ruolo molto importante nella violenza contro le donne. Johathan Klein, co-fondatore e amministratore delegato di Getty (uno dei più grandi archivi di immagini al mondo e uno dei principali fornitori di immagini generiche): «Il modo in cui le persone sono rappresentate visivamente influisce più di ogni altra cosa sul modo in cui vengono percepite». Sheryl Sandberg, dirigente Facebook: «Le immagini che spesso capita di vedere si ispirano a quegli stereotipi che cerchiamo di superare».
Gli stereotipi che il sindaco di Londra, responsabilmente e insieme ad altre e ad altri, sta cercando di superare sono quelli che incatenano il corpo femminile al ruolo di un-corpo-a-disposizione: o del neonato che a un certo punto dovrebbe crescere o del piacere maschile (niente contro il materno, ovviamente, tutto contro l’idea patriarcale della funzione materna). La violenza di genere e il femminicidio agiscono proprio quando crollano quegli schemi, quando cioè la donna recide il cordone o decide di non essere più un corpo a disposizione.
Gramellini non è comunque nuovo a questo suo sessismo qualunquista: oltre che a occuparsi di hostess e divise, nel 2012 scrisse che «il maschio che picchia una donna è anzitutto un maleducato sentimentale». Insomma, «è la vita, bellezza», e se ci sentiamo turbate di fronte a immagini come quelle qui sotto, siamo solo delle povere sciocchine immature, o delle paranoiche (non saremo mica in quei giorni lì?).