Libri per Emma Watson e il suo club del libro femminista
Emma Watson ha deciso di aprire un club del libro. Un club del libro femminista. Lei – che ha 25 anni, è considerata un’attrice molto brava e che è nota soprattutto per essere stata la Hermione dei film di Harry Potter – non ha paura di definirsi una femminista. E nel settembre del 2014 ha tenuto un discorso molto apprezzato sui diritti delle donne a New York, in qualità di nuova ambasciatrice di UN Women delle Nazioni Unite. Come parte di questo lavoro, Emma Watson ha scritto su Facebook di aver «iniziato a leggere più libri e saggi» che poteva «a proposito dell’uguaglianza» e di aver avuto dunque il desiderio di condividere cosa stava «imparando» e di ascoltare altre «opinioni».
Due premesse: quando Emma Watson parla di femminismo parte sempre da sé, come nelle migliori tradizioni femministe. Quando Emma Watson parla di femminismo lo identifica con l’uguaglianza. Ma non c’è una sola definizione della parola “femminismo” e non c’è un solo femminismo ed è più semplice parlarne al plurale. La definizione scelta da Watson è solo una delle tante e fa riferimento al cosiddetto “femminismo paritario” o “femminismo di stato”. Poi, tra gli altri, c’è il femminismo della differenza: non negando la parità dei dritti, sostiene che solo attraverso l’accettazione delle differenze tra i generi si può raggiungere una vera uguaglianza. La parità, per le femministe della differenza, funziona insomma come un principio omologante, ma nasconde la cancellazione delle donne. Gli esempi più evidenti: “tutti gli uomini sono uguali per natura” e “suffragio universale”, espressione applicata da giuristi e filosofi per lungo tempo a tutti-gli-uomini con esclusione delle donne.
Mi sono dilungata. Perché, se volessi inaugurare un club del libro femminista, i libri che sceglierei vorrei che mostrassero innanzitutto le due principali risposte a cui ho accennato qui sopra e che sono state date alla domanda delle domande del femminismo: in nome di cosa vogliamo la libertà e qual è l’obiettivo? Alcune hanno risposto l’uguaglianza. Altre hanno scelto una strada che dà valore alle differenze tra uomini e donne. I libri che ho scelto sono dodici, una per ogni mese dell’anno, assecondano le mie simpatie e sono, al di qua delle mie simpatie, dei punti di riferimento.
Prima di tutto e fuor di discussione
Le filosofie femministe, di Adriana Cavarero e Franco Restaino
Femminile esorbitante, di Chiara Turozzi
Due libri che permettono di farsi un’idea della varietà e della ricchezza del pensiero femminista. Il primo assomiglia a un agile manuale, il secondo a un racconto più spassoso ma forse meno facile da consultare. Da tenere accanto, comunque, come una mappa o un abecedario.
Due mondi, fin dall’inizio
Francia, 1789. Le donne borghesi e le donne del popolo partecipano alla presa della Bastiglia, protestano, muoiono. E parlano. A teatro Olympe de Gouges mette in scena gli eventi rivoluzionari contemporanei e nel 1791 propone di rendere davvero universali i diritti proclamati all’Assemblea nazionale estendendoli anche alle donne («Uomo, sei capace di essere giusto? È una donna che ti pone la domanda»). Nel 1793 finisce sulla ghigliottina. Un anno prima Mary Wollstonecraft scrive: «È ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle donne e di far sì che esse, come parte della specie umana, operino, riformando se stesse, per riformare il mondo». Wollstonecraft (madre di Mary, la futura autrice di Frankenstein) rivendica la libertà di fare politica e di ricevere un’educazione come quella riservata agli uomini. «Si permetta alla donna di condividere i diritti degli uomini ed ella ne emulerà le virtù». Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, madri nobili della libertà femminile, immaginano però due mondi diversi. Simone Weil, molto tempo dopo, preciserà: «Vi è un cattivo modo di credere di avere dei diritti, e un cattivo modo di credere di non averne».
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, di Olympe de Gouges
Rivendicazione dei diritti della donna, di Mary Wollstonecraft
Da rileggere
Piccole donne, di Louisa May Alcott
Da rileggere, dopo aver letto questa recensione di Luisa Muraro (ci arrivo):
«Questo romanzo è un capolavoro di astuzia femminile, per centocinquant’anni è riuscito a farsi stampare, tradurre e raccomandare come un romanzo di formazione (un Bildungsroman, dicono i letterati) per giovinette di buona famiglia, e ne ha tutti gli ingredienti, in effetti, ma intanto riesce ad annunciare la fine del patriarcato. (…) Volendo usare etichette, per il capolavoro della Alcott, io parlerei di romanzo d’iniziazione. Il romanzo di formazione mostra un percorso per diventare quello che la società domanda o aspetta, mentre il romanzo di iniziazione racconta i passaggi che ti portano a scoprire quella che sei, e a diventare quella che puoi essere, più profondamente.
L’iniziazione ha a che fare con la nascita della libertà, quella associata alla scoperta di sé, ed è una cosa che, se non hai l’idea di questa libertà, non esteriore ma intima e personale, può essere scambiata con la moderazione o il conformismo. La Alcott lo sapeva, io credo e penso che ne abbia approfittato per mascherarsi da scrittrice benpensante e così fare il suo gioco. Le Piccole Donne che tengo nella mia biblioteca, una traduzione, si aprono con l’introduzione di un letterato italiano, sicuramente bravo, ma, in questo caso, completamente fuori strada. Per metà dell’introduzione insiste sul fatto che si tratterebbe di un romanzo datato, ancorato a certi ideali, ormai superati: donne che sono angeli del focolare, silenziose e pazienti, ecc. Leggiamo pure Piccole Donne, conclude con un po’ di supponenza, ma si tenga conto dell’epoca in cui fu scritto. Fa ridere: non si è accorto di niente, non ha capito niente».
La questione fondamentale
Le prime conquiste sono arrivate e arriva anche il tempo di rispondere alla domanda delle domande: che cos’è una donna? In nome di cosa pretende la sua libertà? La seconda guerra mondiale sta per scoppiare e Virginia Woolf riceve la lettera del segretario di un’associazione antifascista che le chiede aiuto per prevenire l’avanzata del nazismo e la guerra. Woolf decide di offrire un contributo economico ma nella sua lettera di risposta spiega quali sono le sue condizioni. Il pensiero della differenza sessuale inizia con questo libro, e inizia con qualcosa di bellissimo. «Donna non si nasce, donna si diventa» risponde invece Simone de Beauvoir. La libertà, certamente, ma a prescindere dalle differenze. Ci sono femministe che considerano il suo monumentale lavoro un capolavoro dell’emancipazione e ci sono femministe che lo considerano invece un libro antifemminista.
Le tre ghinee, Virginia Woolf
Il secondo sesso, di Simone de Beauvoir
Il femminismo narrato
Il femminismo trova altre parole, tra un bucato e un mestolo, lontano dalle astrazioni e dalle idee chiare e luminose della filosofia. Lassù, si rischia di restare accecati. Maria Zambrano, spagnola, sente la necessità di non volare troppo in alto e la sua Antigone, nel buio, si rimette al mondo: dopo che in molti avevano parlato di lei e su di lei, Antigone racconta la sua storia. E poi ci sono gli anni Cinquanta, gli elettrodomestici, le casalinghe patinante, il secondo sesso, appunto. Ma ora le donne sanno che cos’è l’autonomia: le due guerre hanno dimostrato che le donne sanno cavarsela da sole: hanno invaso in massa il mercato del lavoro, si sono iscritte ai sindacati. E poi? E poi Doris Lessing si chiede che cosa sia meglio: addomesticate, ma infelici o come-gli-uomini ma parziali? Tra un ideale perfetto di donna previsto dagli uomini, e una libertà modellata su quella degli uomini, Sylvia Plath sceglie di morire.
La tomba di Antigone, di Maria Zambrano
Il taccuino d’oro, di Doris Lessing
La campana di vetro, di Sylvia Plath
Il nuovo classico
Parigi, 1968. Le donne si danno molto da fare, per le strade, con la penna e con il pensiero. Ma sarà Luce Irigaray a dare un nuovo e decisivo slancio alla discussione pubblica sulle tematiche femministe e per il suo libro verrà sospesa dall’insegnamento. Lo specchio (quello di un famosissimo scritto di Lacan, allievo di Freud e maestro di Irigaray) è piatto e rimanda solo immagini, a immagine e somiglianza: la donna allo specchio è solo un’immagine speculare dell’uomo, definita per assenza o mancanza (di un pene, di una razionalità, di un autocontrollo ecc.). La donna dello speculum (strumento che serve a guardare dentro l’organo genitale femminile) resta invece invisibile, non esiste: il vuoto che è la donna e che l’uomo pretende di riempire con il proprio fallo e con la propria storia è ancora tutto da scoprire. C’è un femminile esterno al sistema, c’è un modo di sfuggire alle trappole e di posizionarsi fuori. Irigaray lo dimostra partendo nientemeno che da Freud e Platone.
Speculum, l’altra donna, di Luce Irigaray
Qui accanto
Italia, fine anni Sessanta, inizio Settanta. Le donne si separano dalla politica degli uomini per formare gruppi di sole donne e praticare l’autocoscienza: e nasce la seconda ondata femminista. Non fu un gesto contro gli uomini, fu un desiderio, una festa. Roma, Carla Lonzi, Rivolta Femminile. Milano, la Libreria delle donne, Luisa Muraro e le altre. Irrompe nella storia un soggetto imprevisto, sorprendente, pieno di energia e cose nuove da pensare.
Taci, anzi parla, di Carla Lonzi
L’ordine simbolico della madre, di Luisa Muraro
Non credere di avere dei diritti, Libreria delle donne di Milano
Aiuto, il gender!
La sessualità è al centro. Di “genere” si comincia a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta nella ricerca psichiatrica, sociologica e antropologica americana. Con la parola “sesso” si inizia a riferirsi esclusivamente alla dimensione corporea di una persona (cioè alla sua anatomia); con quella “genere” si inizia a indicare sia la percezione che ciascuno e ciascuna ha di sé in quanto maschio o femmina (cioè l’identità di genere), ma anche il sistema socialmente costruito intorno a quelle stesse identità (cioè il ruolo di genere). La distinzione fra sesso anatomico e ruolo di genere sta alla base di un nuovo pensiero: e cioè che possa esserci una discontinuità tra il corpo con cui si nasce, l’immagine che si ha sé (come ci si sente) e i ruoli stabiliti da altri (gli stereotipi di genere).
L’identità maschile o femminile non è “data per natura” ma è stata costruita socialmente. In questa costruzione la differenza di sesso biologico è stata trasformata in una differenza di ruoli (di “genere”, appunto), che a sua volta è diventata una gerarchia: gli uomini sono stati assegnati alla produzione e al lavoro, le donne alla riproduzione e alla cura. La gerarchizzazione delle differenze ha portato all’oppressione degli uomini sulle donne e alla creazione di confini rigidi tra le identità di genere, con l’allontanamento o il non riconoscimento di chi sta fuori da questa norma. Niente paura, è tutto qui.
Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, di Butler Judith