Il sessismo che vi serve
Tutta questa storia sul gesto sessista del senatore Lucio Barani e Vincenzo D’Anna che in aula hanno mimato un rapporto orale verso Barbara Lezzi del M5S e altro mi fa prudere le mani da giorni. Non per il motivo che si potrebbe immaginare. O almeno, non principalmente. Amiche e amici mi hanno chiesto perché non ne avessi parlato, in fondo è di questo che ti occupi. Vero, ma solo in parte. Due sono le risposte immediate al fatto che io abbia scelto di non scriverne (scrivere del fatto in sé, intendo): non è stato un gesto stupefacente, non mi ha particolarmente sorpresa e non l’ha fatto nemmeno perché è stato fatto all’interno dell’aula del parlamento. E poi: il sessismo di Barani e D’Anna era al grado zero ed è finito immediatamente su tv e giornali. Tutti sanno di cosa parliamo, tutti ci siamo arrabbiati e indignati. Insomma, il messaggio era evidente ed era evidente che sarebbe passato.
Mi prudono le mani perché la denuncia del sessismo, seppur necessaria, sempre, sembra essere diventata uno strumento da utilizzare a seconda dei casi. Tv e giornali ne hanno parlato perché è stato fatto all’interno dell’aula del parlamento (e perché era al suo grado zero). Ci è finito il giorno dopo e quello dopo ancora: ieri Repubblica lo ha riproposto criticandone le conseguenze («soltanto 5 giorni di sospensione»), il Fatto lo ha ripreso per dire che il PD ha salvato Verdini, e così via.
Invece, il sessismo semplicemente è. Non ha altre specificazioni, non ha casi né appartenenze né partito, non ha luoghi privilegiati in cui diventa più o meno grave. Certo, ci sono cose che diventano dei simboli e circostanze più visibili rispetto ad altre. Poi, alla fine, resta il sessismo e basta, quello che non viene raccontato e quello che, siccome è ben mascherato, non è riconosciuto come tale. Per questioni di prossimità, sono le reazioni delle donne e come le notizie vengono scelte e raccontate le cose che più mi interessano.
Ci sono molte situazioni analoghe a quelle di Barani in cui da parte delle donne, in molti casi delle stesse donne, non c’è stata alcuna reazione. Situazioni in cui l’odio misogino – che è una miniera inesauribile – non è stato ritenuto “conveniente”. Situazioni in cui l’occasione del conflitto politico, diventata facile occasione di miseria e violenza maschile, non è stata allontanata con la stessa decisione. E, infine, situazioni in cui per il sessismo – che è bene ricordarlo, accade ogni volta che un’azione o una parola sono conseguenza del sesso di una persona o del ruolo di genere che le si impone – si è gioito.
Mi rivolgo alle amiche del Movimento Cinque Stelle: bene la vostra rabbia oggi, è anche la nostra. Dov’era l’autorità femminile che avete dimostrato in quest’occasione quando il vostro leader ha strumentalizzato l’odio misogino? Penso agli insulti a Maria Novella Oppo dell’Unità e penso alla Presidente della Camera Laura Boldrini. Mi rivolgo alle amiche di Forza Italia: dov’era la vostra autorità femminile di fronte a quel primo attore della mascherata sessista che è stato Silvio Berlusconi? Mi rivolgo alle amiche del PD: dov’era la vostra autorità femminile quando, pesco un esempio tra i molti, Massimo D’Alema dava del “pugile” a Elena Gentile, quando Bersani parlava delle “nostre donne” o quando alcune di voi si sono prestate come fiori all’occhiello al trucco della quantità? (Mettere al governo metà donne per poi vantarsene, ecco, quello è sessismo. Meglio: si chiama pinkwashing, passata di rosa, donne purché donne e che magari — come spesso purtroppo accade — piacciano agli uomini).
Infine: contenta che Repubblica metta in prima pagina la parola sessista. Repubblica (come molti altri giornali) dovrebbe però avere l’attenzione e la cura di interrogarsi su boxini e gallerie fotografiche. Dovrebbero soprattutto, se è di buona informazione che si parla, saper vedere dove il sessismo si annida. Il sessismo non è a servizio di nessuno, se non dei sessisti e di chi fa il loro gioco, apertamente o no. Ecco, almeno noi, e voi che sedete là, vediamo di non esserne complici.