Sono nata su una barca
«Ora devo andare. C’è Tsipras che parla in piazza per la chiusura della campagna, ci sono i comunisti vostri, pure gli spagnoli. C’è tutta una festa, qui». Kleri l’ho conosciuta un paio di settimane fa, eravamo sedute una accanto all’altra nel ristorante più vecchio di Atene, che a vederlo, però, non sembrava così vecchio. Si trova a Monastiraki, il quartiere del mercatino delle pulci, della cattedrale piccola, di quella più grande e della moschea.
Kleri è greca, ha tantissimi capelli rossi e ricci, parla bene italiano e chiama suo marito, che è italiano, Angelino. È nata nel 1944, quando iniziarono gli sbarchi degli alleati e quando il Fronte di liberazione nazionale (EAM) e la sua organizzazione militare (l’Esercito popolare di liberazione nazionale, ELAS), avevano già ripreso il controllo di vaste zone del paese contro i bulgari e i tedeschi che avevano istituito un governo collaborazionista. Giovanni, il padre di Kleri, era un ingegnere ed era anche un partigiano dell’ELAS:
«Un amico lo avvertì che sotto il platano della piazza di Sotiros sull’isola di Thasos avevano preparato una forca per lui. La notte scese al mare con mia madre e mia sorella Maria, che aveva due anni, e prese una barca a motore. Il tempo era brutto. Arrivarono al Monte Athos, ma i monaci non li fecero salire perché c’era una donna, mia madre che aveva me nella pancia. Risalirono ancora un po’ la penisola Calcidica. Tra il monte Athos e Ierissos sono nata io. Sono nata su una barca».
Dopo la liberazione, verso la fine del 1944, cominciò però un’altra guerra. I britannici insediarono ad Atene un governo di unità nazionale presieduto dal socialdemocratico Georgios Papandreou (il primo della “dinastia”) di cui facevano parte anche i comunisti. Ma resse pochissimo: a dicembre una manifestazione contro il governo fu prima autorizzata, poi vietata, poi finì con le truppe britanniche che sparavano sulla folla. Fu tentato un nuovo compromesso (accordo di Vàrkiza, febbraio 1945), fallì e scoppiò la guerra civile. Da una parte c’erano le organizzazioni partigiane dell’ELAS e dell’EAM, appoggiate dal partito comunista, dall’altra le forze governative a sostegno del regime monarchico che nel frattempo, settembre 1946, era stato restaurato con un referendum. La guerriglia continuò per tutto il 1947 e fino all’aprile del 1948 quando l’offensiva delle forze monarchiche con l’aiuto prima del Regno Unito e poi degli Stati Uniti, piegò la resistenza.
Quando scoppiò la guerra civile Kleri, sua sorella e la madre seguirono Giovanni prima a Kavala «dove c’era il centro della resistenza», poi a Salonicco:
«Andammo a vivere nella casetta che stava nel giardino di una bella casa neoclassica. Ma la padrona tradì mio padre: lo presero, lo condannarono e lo deportarono a Yaros, un’isola vicino ad Atene. Restammo sole con mia madre, che però sapeva cucire. Il partito comunista ci aiutò, ogni tanto veniva una persona a vedere se avevamo bisogno di qualche cosa».
In quegli anni, la Grecia fu uno dei paesi dell’Europa che rientrò nel Piano Marshall:
«Cominciammo ad andare a scuola vicino a casa e cominciarono ad arrivare i soldi degli americani. Tutti i ragazzini, la mattina, ricevevano una tazza di cioccolata e un panino con l’uvetta dentro. A noi, figlie di un comunista, non lo davano. Ogni quindici giorni distribuivano il formaggio giallo, la farina e lo zucchero. A noi no, perché eravamo figlie di un comunista».
Del padre comunista non si seppe nulla fino al venerdì santo del 1952:
«Ero in chiesa con mia sorella, venne un amico, ci portò a casa sua. In cucina, c’era un signore seduto al tavolo. Ci mostrò una foto, c’era lui che abbracciava due bambine piccole. Era nostro padre. Non capivamo perché non fosse tornato a casa. Poi scoprimmo che gli avevano raccontato che mamma aveva una relazione con il signore del partito che ogni tanto veniva a trovarci. Con tutto quello che aveva sopportato, non riuscì ad accettare questa piccola storia. Il giorno dopo venne, passammo tutti insieme la Pasqua. Il primo maggio ci portò a fare una passeggiata e quando tornammo mia madre non c’era più. Era stata mandata via di casa. Da quel momento in poi siamo cresciute con lui, senza mamma».
Erano gli anni Cinquanta: per poter avere un posto di lavoro serviva un certificato di affidabilità politica, chi era considerato vicino alla sinistra continuò di fatto ad essere escluso da qualsiasi diritto previsto dalla Costituzione. Giovanni riuscì a far sopravvivere le figlie grazie a qualche moneta che aveva ereditato dalla famiglia («mio padre era l’unico figlio maschio di una ricchissima famiglia, rimase orfano, lo allevò sua nonna, da piccolo mangiava biscotti tutti i giorni») e grazie alle vecchie macchine da cucire che i monaci del Monte Athos gli avevano regalato. Durante la ritirata dei bulgari, Giovanni aveva difeso il Monte Athos e ottenne queste macchine da cucire come “ricompensa”:
«Mio padre prese una bicicletta, ci mise un motore e cominciò a girare per vendere queste macchine da cucire. Erano anni difficili, restava un perseguitato, ma riuscì a portarci via dalla casetta e a farci vivere in una casa più bella».
Nel frattempo al governo si alternarono una serie di coalizioni. Nel 1956 Kostas Karamanlìs (futuro fondatore di Nea Demokratia) ottenne la maggioranza. Nel 1963 vinse invece il socialdemocratico Georgios Papandreou: fece una riforma della scuola «per dare al popolo l’educazione che serviva e che si meritava», ridusse i poteri dell’esercito, allentò le misure repressive, liberò i detenuti ancora in carcere dopo la guerra civile. E nel luglio del 1965 il re Costantino II lo costrinse alle dimissioni.
Per Kleri erano iniziati gli anni del liceo, dell’organizzazione dei primi scioperi contro il governo, dell’espulsione dalla scuola pubblica, della tante scuole private che cambiò perché suo padre non riusciva a pagare la retta. E poi fu l’inizio di una nuova vita, lontana dalla Grecia.
«Mio padre decise di mandarmi all’estero. La figlia di un’amica di mio padre studiava a Roma. Salii sul treno e attraverso la Jugoslavia arrivai il 26 ottobre del 1965, due giorni prima che in Grecia si festeggiasse il Giorno del No, il giorno in cui il primo ministro greco si rifiutò di lasciar entrare le truppe di Mussolini. Ecco, per due giorni non smisi mai di piangere. Poi entrai in contatto con gli studenti greci che abitavano a Roma e venni eletta segretaria della Federazione dei sindacati degli studenti greci in Italia. Una mattina presto, era il 21 aprile del 1967, mi chiamò Orestis Kolozov (che sarebbe diventato uno dei primi deputati del KKE, il partito comunista greco, e anche lui studiava a quel tempo in Italia) e mi disse: “In Grecia c’è la dittatura”. Non capivo nemmeno cosa fosse. Provai a telefonare a casa, non ci riuscii. Chiamai il partito: “Le cose si mettono male, dobbiamo lottare” mi dissero. Una parola, lottare. Va bene. Lottare».
Il 21 aprile del 1967 i telefoni ad Atene erano stati isolati e i carri armato erano stati schierati davanti al parlamento e ai ministeri. «L’esercito ha assunto il governo del paese». Così disse la radio. Quella mattina, in Grecia, ebbe inizio la dittatura dei colonnelli. La sorella di Kleri, che nel frattempo si era laureata in medicina, cercò di scappare su una nave da crociera dove le era stato trovato un posto come dottoressa. Non ci riuscì: venne arrestata e portata nel centro di detenzione sull’isola di Yaros dove anni prima era stato il padre. Kleri fece la sua battaglia dall’Italia:
«Ero controllata dai servizi segreti dell’ambasciata greca e ero attiva nella lotta contro la dittatura: invitata dal segretario socialista De Martino parlai per la festa del 2 giugno anche al teatro di Adriano a Roma, gremito di militanti di sinistra. È lì che conobbi Angelino: quando i suoi genitori seppero che ero greca e che ero comunista fecero di tutto per separarci. Pensavano fossi una disgraziata».
Kleri si laureò in architettura, andò a lavorare a Venezia per un progetto dell’Unesco («fu un periodo bellissimo, io e Angelino giravamo, lavoravamo a Palazzo Grassi e ci sembrava di vivere in un’altra epoca») e, soprattutto, girò l’Italia per comizi e incontri politici. Tornò in Grecia, per la prima volta da quando era partita, nel 1971. La sorella era stata rilasciata per problemi di salute grazie a un medico dell’esercito che aveva conosciuto nel campo, si era ricongiunta alla madre dopo tanti anni e, con lei si era trasferita ad Atene. Lì si era sposata ed era rimasta incinta, ma aveva gravi problemi di salute. Per questo Kleri (che si era a sua volta sposata con Angelo come rifugiata nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, e aveva un passaporto italiano) decise di tornare:
«Dopo tre giorni mi vennero a prendere e mi portarono negli uffici di un poliziotto che era la paura di tutta la Grecia. Presero me, ma non Angelo, che andò subito all’ambasciata. Mi rilasciarono e tornai in Italia».
Nel maggio del 1973, dopo l’ammutinamento di una parte della marina militare venne proclamata la Repubblica. Papadòpulos venne nominato presidente. In novembre, all’occupazione studentesca del Politecnico di Atene si unì la protesta operaia. La reazione del regime fu brutale, il governo si spaccò e l’anno dopo, quando i colonnelli tentarono di rovesciare il presidente di Cipro Makàrios, la dittatura finì. La giunta militare fu costretta a dimettersi e l’ex premier conservatore Karamanlìs venne richiamato dall’esilio. Formò un governo di salvezza nazionale, il partito comunista tornò ad essere legale, si votò un referendum per non ripristinare la monarchia e l’11 giugno del 1975 fu promulgata una Costituzione repubblicana. Nel frattempo, Andreas Papandreou (figlio di Georgios) fondò il Partito Socialista Panellenico (Pasok) come risposta alla creazione, da parte di Konstantinos Karamanlis, del partito di centro-destra Nuova Democrazia (ND).
«Io e Angelino siamo tornati definitivamente in Grecia dopo la fine della dittatura. E qui comincia tutta un’altra storia, non così pericolosa come quella che ti ho raccontato fino ad ora. Una storia fatta di tante difficoltà, sempre, ma soprattutto di politica».
Kleri aderì al Pasok («che era come il partito comunista ma più libero e meno autoritario») che alle elezioni del 1981 ottenne la maggioranza. Diventò madre (ora è anche nonna), lavorò in diversi studi di architettura, ne aprì, con Angelo, uno tutto suo, lasciò la libera professione per un lavoro al ministero dei lavori pubblici e poi per il demanio greco. Nel 1990 il Pasok perse alle elezioni e la mandarono via. Nel 1992 tornò di nuovo Papandreou e Kleri venne richiamata «per finire quello che aveva cominciato».
«Ho visto accadere di tutto dentro al Pasok. Si è trasformato in un partito di destra. Non proprio di destra, ma pensavano solo a riempirsi le tasche con i soldi. Nel 1998 me ne sono andata. Non potevo accettare come andavano le cose».
Da questo punto in poi la storia poco ordinaria di Kleri si confonde con quella di tante altre donne e uomini greci. Ora lei e il marito fanno parte di un piccolo partito nato da una scissione dal Pasok e che fa riferimento a Louka Katseli, ex ministra dell’economia di Papandreou che aveva preso posizione contro il memorandum. Il partito si chiama Koinoniki Symfonia, “Patto Sociale”. Non si presenta alle elezioni, ma appoggia Syriza.
«Ci hanno messi in ginocchio. Ci hanno ridotti a chiedere l’elemosina. Ci hanno tolto la dignità. Ecco, la battaglia per Syrizia è soprattutto questo. Una battaglia per riacquistare la dignità. Da lunedì la lotta non finisce. Cercheranno di rovinare e ostacolare Syriza in tutti i modi. Ma noi continueremo a lottare».