Pregi e difetti del governo Salinger
È facile prevedere che il nuovo governo Monti non passerà molto tempo al trucco & parrucco degli studi televisivi, o sulle cadreghe di marca dei talk show politici di prima serata. Come lo scrittore J.D. Salinger anche l’esecutivo appena formato mostrerà a breve la sua natura schiva e riservata, veicolando il proprio messaggio ad agenzie, conferenze stampa e impegni di natura istituzionale. Insomma, i nostri “nuovi” non saranno più protagonisti ma solo spettatori dei vari Ballarò e Servizio Pubblico. Sui pregi di questo niet alla (sovra) esposizione mediatica è inutile dilungarsi, il rischio sarebbe di ripetere per l’ennesima volta quello che il 99 per cent dei telespettatori italiani pensa da tempo, ovvero: “Era ora! Fine del teatrino! Adesso lavoreranno invece di andare sempre in tv!”.
Sui difetti invece è giusto spendere qualche parola. Per ora – ma siamo freschi, il governo ha giurato ieri – il popolo del telecomando rischia di trovarsi di fronte tre novità, nei confronti delle quali è meglio che cominci subito a sviluppare gli anticorpi giusti:
– Come messo in evidenza ieri sera dalla puntata speciale de L’Infedele – nello specifico nel botta e risposta tra Mucchetti (Corriere della Sera) e Sallusti (Il Giornale) – i giornalisti smetteranno di accapigliarsi su chi sia, nei commenti, più o meno parziale o schierato, più o meno lucido o confuso, e passeranno direttamente a vedere da quale conto corrente arrivi la rispettiva busta paga. Quindi se Mucchetti lavora al Corriere significa che, facendo Passera parte della quota di sindacato del giornale (con un misero 2%), Mucchetti è pro Monti. Ma non solo: è pro banche, pro loden, pro capelli grigi, pro Bocconi. Stesso allora dicasi per Gad Lerner, avendo Banca Intesa e quindi Passera interessi in Telecom e quindi in La7. Avviso ai telespettatori: in caso di una discussione come questa cambiate canale, almeno che non crediate alla favola santoriana che un giornalista per essere libero (ma libero davvero, come nella canzone di Gigi D’Alessio) non debba avere un editore, e che un editore non debba fare i propri interessi ma mettersi al mattino la calzamaglia di Robin Hood.
– Altro rischio è che ora i talk show politici diventino semplicemente un’arena di training per le elezioni che verranno, quando non si sa. Comunque occorrerà preparasi, e quindi ecco i vari ex ministri scrivere col pennarello in proprio nome sulle sedie delle tele-tribune e iniziare a fare campagna elettorale con lo scopo non di stimolare il dibattito politico, ma di tenersi in allenamento per quando torneranno in campo. Questo naturalmente ostacolerà l’ingresso, anche solo mediatico, di nuovi protagonisti politici che non troveranno neanche uno strapuntino su cui appoggiarsi.
– Se i giornalisti, come ieri da Lerner, andranno a compensare in numero la diminuita presenza dei politici di questo governo Salinger potrà accadere qualcosa d’inedito, che ha già dato i primi segni durante una puntata di Servizio Pubblico, quella in cui Feltri e Travaglio, anziché scannarsi come al solito, si lisciavano il pelo complimentandosi a vicenda della comunanza di idee. Se il nuovo esecutivo sembra – stando ai sondaggi – unire la maggioranza degli italiani, provoca invece l’effetto opposto nei quotidiani nazionali, divisi al punto che gli estremi – Il Foglio e Il Fatto, Libero e Il Manifesto – tendono ad avvicinarsi. L’effetto per noi telespettatori sarebbe un po’ quello di trovarsi di fronte a una nuova serie di cartoon in cui Tom va a cena da Jerry e Titti si fidanza con Silvestro.