Parliamo di islamofobia
Scrivendo un articolo per Limes che tocca anche il tema dell’islamofobia, mi è tornato in mente questo pezzo del mio blog personale che, per un disguido, non avevo mai messo qui sul Post: lo faccio ora, ché mi sembra importante discuterne.
Islamofobia è una parola che qualifica più chi la usa che chi ne è destinatario. Parlo naturalmente di chi lo fa consapevolmente, perché ci sono molte persone che non hanno mai riflettuto sul portato semantico e ideologico di quella parola (come del resto ho fatto io in passato, anche su questo blog). È per questi ultimi che scrivo questo post.
Islamofobia è una parola fasulla perché cerca di accostare al razzismo il rifiuto di una religione. È una parola clericale, come lo è cristianofobia, che il Papa usa tutte le volte che quelli come me fanno richieste sacrosante come la rimozione del crocifisso dalle aule. È una parola che cerca di accusare chi non è d’accordo con te – chi non sottoscrive la tua sottomissione a un dogma – di non esserlo per una paura irrazionale, e non per un più che ragionevole diritto di critica.
Invece il razzismo contro l’Islam non esiste né esiste quello contro il Cristianesimo, perché Islam e Cristianesimo non sono razze. Sono sistemi di pensiero con cui ognuno di noi può decidere di essere d’accordo, oppure no. È come parlare di razzismo contro il Fascismo, contro il Liberalismo, contro il Marxismo, cose che è legittimo non sottoscrivere. Eppure nessuno potrebbe darmi del leghistofobico, nonostante la metà dei post di questo blog siano una critica alla Lega Nord: molto semplicemente, è la mia idea, non è “una paura irrazionale e persistente”.
Un’obiezione sensata potrebbe essere l’antisemitismo, ma anche questa mostra una scarsa indagine di cosa si intenda per antisemitismo. Per ragioni storiche, il Giudaismo è considerato sia una religione che una nazionalità: quale che sia la nostra opinione al riguardo, tale distinzione è un dato di fatto – un ebreo ateo è un ebreo, non esistono cattolici atei. L’antisemita è chi lotta contro l’Ebraismo per questione di sangue, non per ideologia religiosa: ci mancherebbe altro che non si possano criticare gli ebrei ortodossi per la condizione femminile, o per le ridicole pratiche bibliche a cui sottopongono i proprî figli. Chi vi accusasse di antisemitismo per queste legittime critiche farebbe lo stesso uso contraffatto della parola islamofobia.
Questa distinzione fra ideologia ed etnia è fondamentale: essere contro i tunisini o gli egiziani, contro i tailandesi o i filippini, è razzista (forse sarebbe il caso di concentrarci su questa battaglia?); essere contro l’Islam, quindi compresi quelli come John Walker Lindh che di arabo non hanno nulla, è – per quanto mi riguarda – l’unica posizione razionale (fino al giorno in cui non ci portano le prove della veridicità di quelle credenze).
Non so quando sia successo, ma è arrivato un giorno in cui abbiamo deciso che le religioni che vanno di moda – in genere Cristianesimo, Islam ed Ebraismo: nessuno mi accuserebbe di scientologyfobia – andassero trattate in maniera del tutto diversa, e privilegiata e pregiudiziale, da qualsiasi altro fenomeno nel mondo.
Non c’è dubbio che oggi questo equivoco sia alimentato principalmente in relazione all’Islam, e non al Cattolicesimo o ai testimoni di Geova (perché vi sarà capitato di scrivere che vi stanno antipatici i Testimoni di Geova, o no?). Se cristianofobia è usato soltanto dal Papa e da qualche teo-con in piena sindrome d’accerchiamento, la parola islamofobia – come dimostra la copertina qui a fianco – è usata anche fra persone che, almeno fino a quindici anni fa, nessuno avrebbe mai potuto accusare di clericalismo. Eppure per quanto le religioni non siano uguali fra loro, il principio è lo stesso. È bene spiegare che essere contro l’Islam non vuol dire essere “contro i mussulmani”, per la semplice ragione che – per fortuna – le persone sono molto più che una sola cosa: possiamo non essere d’accordo con le convinzioni politiche dei nostri amici, senza per questo rifiutarli del tutto. Tanto più che l’Islam è composto di almeno tre cose: la Sunna, quindi il Corano e gli Hadith; la tradizione della legge islamica, la Shari’a; e le persone che ci vivono dentro. Si possono considerare infondate, sessiste, violente, le idee espresse nelle prime due senza estendere questa valutazione a coloro che queste idee decidono di ignorarle.
Anzi, proprio in questa distinzione c’è un grande segno di speranza, tanto che se non ci fosse saremmo perduti. Confido spesso – è ciò che muoveva la mia azione in Palestina, e ciò che la muoverà in futuro – nella quantità di persone, di mussulmani, che vivono con dignità e altruismo nonostante i pessimi insegnamenti che sono dentro a un libro (e una teologia) fra i più sanguinosi e immorali che l’umanità abbia mai creato, che – guarda caso – è molto vicino a quello che penso dei cristiani.