La città civica
Quante volte ci è capitato di verificare l’inadeguatezza delle politiche urbane delle pubbliche amministrazioni, sempre a promuovere grandiosi piani strutturali, là dove il business è consistente e i grandi gruppi imprenditoriali sviluppano i propri appetiti, e poco attente invece ai tanti e poco invasivi progetti di vivibilità quotidiana?
Il tema è cruciale e da qualche anno all’Università delle Arti di Zurigo (ZHdK) è attivo il programma di ricerca che, sotto il nome di Civic City, si propone di indagare, appunto, le modalità con le quali il design è in grado di intervenire nella progettazione degli spazi urbani e delle funzioni sociali che costituiscono l’anima della città.
“Oggi il design gioca un crescente ruolo nella definizione degli spazi urbani. Una città non è più percepita come la semplice somma di edifici, strade, piazze e giardini. Testi e immagini nello spazio pubblico, campagne commerciali, street art, sistemi di orientamento, installazioni temporanee, processi d’interazione e rappresentazioni cartografiche influenzano il nostro utilizzo, l’esperienza e la percezione della città, così come fanno la segnaletica, l’arredo urbano, i veicoli, le infrastrutture e l’aspetto delle facciate pubbliche”.
Condotto da Ruedi Baur, che ricordiamo come uno dei più attivi graphic designer nella progettazione di spazi pubblici, insieme a Miguel Robles-Duran, Matthias Görlich e Jesko Fezer, il programma Civic City si è da poco arricchito di una collana di Cahiers (edizioni Bedford Press) che raccolgono le riflessioni multidisciplinari emerse dai workshop, dagli incontri e dalle conferenze di Design for the Post-Neoliberal City. Il tema conduttore è quello delle potenzialità del design per la costruzione di una “città sociale”, in un’ottica critica che non risparmia le stesse contraddizioni che investono i designer in quel territorio di confine che unisce progetto e politica.
L’impegno politico è stato sovente alla base della ricerca progettuale e non sarà infatti un caso la pubblicazione, fra i primi titoli della collana, del testo Design and Democracy di uno storico precursore del progetto dell’interfaccia come Gui Bonsiepe insieme alla sua esperienza di design collettivo che andò svolgendo per Unidad Popular nel Cile di Allende negli anni dal 1971 al 1973. Tuttavia questo stesso impegno che accomuna, per certi versi, movimenti sociali e designer non è più sufficiente — ci dice Margit Mayer in Social Movements in the (Post)Neoliberal City — se notiamo come la dottrina neoliberista sia stata in grado, con successo, di dirottare e integrare nella propria ideologia quegli stessi spazi appena liberati dai movimenti di opposizione.
Insomma le questioni sono aperte, le risposte ancora da definire: una bella sfida per ogni progettista. Una lettura consigliata caldamente a designer e amministratori pubblici.