Milano verso il 2015
Per Milano questa è la settimana d’attesa per il ballottaggio per l’elezione del sindaco, è quindi passata un po’ in sordina la conclusione del concorso indetto per la progettazione del marchio dell’Expo 2015. Il progetto prescelto, che nell’ultima fase della gara è stato sottoposto a un “giudizio popolare” online, è quello realizzato con una scritta multicolore da Andrea Puppa, trent’anni, e che è stato preferito al lavoro dell’altra finalista, Alice Ferrari.
Diciamo subito che con il nuovo marchio si rimedia finalmente al rischio di ridicolo connesso alla precedente identità, quella con l’Uomo vitruviano, che ha accompagnato fino a qui l’avventura comunicativa dell’Expo. Si trattava infatti di un logo autoprodotto internamente al Comune di Milano e che ha brillato, fin dall’inizio della candidatura meneghina, per la sciatteria e per la totale disattenzione ai principi del graphic design con il quale era stato realizzato. Caratteristiche che hanno fatto guadagnare al vecchio marchio un lungo corollario di polemiche e prese di distanza critiche. La nuova immagine colorata e immediata, anche se non comunica direttamente il tema specifico dell’Expo dedicato all’agricoltura e alla nutrizione nel mondo, ha la potenzialità di caratterizzare positivamente l’identità di tutta l’esposizione.
Vale la pena soffermarsi invece sulle modalità con cui si è scelto di procedere per realizzare il nuovo marchio. Innanzitutto il concorso riservato a studenti e neolaureati. È vero che è sacrosanto dare un’opportunità ai giovani in un panorama in cui non abbondano certo possibilità di lavoro, ma può essere il concorso la strada giusta? E se così fosse, perché questa stessa modalità non è applicata per quanto riguarda altri ambiti del progetto, ad esempio per l’architettura o il design di prodotto dell’Esposizione universale? Difficile evitare il sospetto che non sia altro che un modo per risparmiare denaro e per crearsi una facile reputazione di democratica attenzione verso i giovani. Il primo premio ammonta a 15.000 euro (4.000 per il secondo arrivato), un premio che possiamo ritenere anche congruo se non consideriamo che il valore del brand è stato valutato, nella cessione dal comitato per la candidatura alla Expo spa, un milione di euro. È evidente che il vero affare è nella gestione del marchio più che nella sua progettazione, una gestione che naturalmente esula le possibilità di qualsiasi studente o neolaureato e che andrà perciò a tutto vantaggio di un’agenzia pubblicitaria.
Per la selezione delle oltre 700 proposte è stata costituita, e va riconosciuta come una rara e positiva eccezione, una giuria di tutto rispetto formata da persone competenti e qualificate sul tema della comunicazione (anche se c’è da domandarsi perché farla presiedere a uno stilista), ma si è poi scelto di indulgere, una volta selezionati i due finalisti, al fascino del plebiscito online. Sembra quasi che in epoca di social network non sia possibile altra strada che ricercare la partecipazione del pubblico per quanto questa possa essere inutile o ininfluente. Si trattava di “dimostrare — come ha dichiarato l’amministratore delegato di Expo spa, Giuseppe Sala — che l’avventura dell’Esposizione Universale è collettiva e popolare”, ma forse non è che un’ulteriore dimostrazione della scarsa considerazione in cui è tenuta la comunicazione visiva.