La Rai senza futuro di Campo Dall’Orto
Leggo le dichiarazioni di Antonio Campo Dall’Orto al Festival della tv – motoraduno senza moto pieno di veterani, meno veterani e vecchissimi – e non trovo nessuna critica da parte di chi le riporta. Il giornalismo televisivo, o se preferite, la critica televisiva, sta diventando l’ombra di sé stessa. Molto spesso, pezzi e articoli sono semplici rimpasti di comunicati stampa, notizie e curiosità: “È uscito il nuovo trailer!” oppure “nuove immagini dal set, scopritele qui”. La sostanza, ovvero una riflessione sensata e puntuale di quello che è e sta diventando il mezzo televisivo, latita.
Prendete le succitate dichiarazioni di Dall’Orto: che ha parlato di Rai, di futuro, delle solite fiction e della possibilità di chiamare “nuovi” (Paolo Bonolis, con tutto il rispetto, è il “nuovo”?) talenti. Che ha confessato che oggi, col senno di poi, non rimanderebbe in onda l’intervista di Vespa a Riina Jr. (ma davvero?); e che il progresso è qui, alle porte. Quale sia però questo progresso non è dato saperlo.
Della minaccia – intesa economicamente e produttivamente – di Sky, Netflix, Mediaset e delle tante piattaforme (e vanno citate TIM Vision e Infinity, come minimo) nemmeno una parola. La tv è quella che è sempre stata: apertissima al ritorno del Rischiatutto, un po’ meno agli esperimenti e alle novità. C’è vita, scrivevo qualche tempo fa, senza ascolti. E invece no: puntiamo sempre e solo sull’Auditel. Sul canone (cento euro all’anno sono più di quanto si paga con l’abbonamento base di Netflix, se ci pensate). Puntiamo su facce note e notissime, su programmi che funzionano – “Vespa non sarà solo, verrà affiancato da altri in seconda e terza serata”.
I giovani non si vedono. E non si vede neppure una linea d’insieme, editoriale, volta a determinati obiettivi. Per esempio: dove vede la “sua” Rai a fine mandato Campo Dall’Orto? Come ha reagito al flop della sua creatura, Sorci Verdi? Come crede che si debba attirare il pubblico più – anagraficamente, ma anche mentalmente parlando – giovane? La Rai può essere come la BBC, “tv non dei politici ma dei cittadini inglesi”? E su cosa vuole investire la Rai? Vuole seguire il consiglio di Zalone – e cioè: lasciate perdere le americanate; continuiamo a fare quello che sappiamo fare: le fiction all’italiana – o vuole, magari, puntare su alcune produzioni come, e faccio qualche nome, Non uccidere e Tutto può succedere?