L’Europa deve cominciare a ragionare in termini “imperiali”?
Gli imperi ragionano in modo arcaico. Costruiscono sfere d’influenze, marcano linee rosse, programmano ingerenze, preparano eserciti, usano la forza. Ragionano in modo arcaico, almeno per noi europei, che dopo il suicidio delle due guerre mondiali abbiamo tentato di costruire un modello diverso, anche stando all’ombra degli imperi e sfruttandone l’esistenza.
Negli ultimi decenni abbiamo anche forse accarezzato l’idea di poter vivere come terminali di altri imperi, quello americano dal punto di vista politico, ma anche integrandoci agli altri imperi mondiali, però sempre in uno spazio e in un modo a noi proprio. Abbiamo creato un perimetro di collaborazione continentale, per quanto a volte farraginoso e lento (ma meno di quanto ce ne lamentiamo), una rete di protezione sociale, una competizione non autodistruttiva, un rifiuto formale della violenza, almeno tra gli stati dell’unione continentale. Conosco già tutte le obiezioni a questo quadretto apparentemente idilliaco, alcune che immagino le condivido anche, ma qui non mi interessano, perché non è il punto ora.
Il punto è capire come difendere il nostro modello se gli imperi del pianeta (la Russia, la Cina, gli USA) non dovessero più essere disposti a concederci lo spazio (cioè i “valori” e il metodo) che è il nostro. Nel momento in cui si tentasse di forzare lo spazio europeo, vuoi per motivi latamente ideologici, vuoi per motivi economici o di strategia generale, se si tentasse di non concedere la semplice posizione di terminale di altri imperi, se non si rispettassero le autonome condizionalità del nostro modo di fare, come potremmo difendere le conquiste fatte?
Mi chiedo quindi: è forse arrivato il momento di fare nostro quel linguaggio imperiale che ci pare arcaico ma che è il più contemporaneo nei fatti? Dobbiamo cominciare a ragionare da impero europeo? Ma come farlo senza tornare indietro e senza snaturare la nostra nuova natura di europei? E fino a che prezzo siamo disposti a pagare per tenere fuori la guerra dall’Europa?
Certo, come primo elemento viene alla mente quello della difesa comune, di un esercito europeo. Ma questo porta con sé l’esigenza di ricominciare a pensare la guerra, il che, già di per sé per noi europei, è un prezzo altissimo, perché rischia di modificarci. Non è solo questione del famoso esercito europeo (noi peraltro attualmente, mi pare di capire, spendiamo già più soldi della Russia, ma questo investimento è diviso nei vari eserciti nazionali), il discorso è più ampio.
La nostra sfera d’influenza, per usare il linguaggio imperiale, non può che essere democratica, non può che amplificare l’attrazione che il nostro modello liberal-social-democratico che è diverso da quello di altri, già esercita (e la crisi ucraina ne è un esempio). Ma forse allora bisognerà porsi sullo scenario mondiale in modo più conflittuale, anche dal punto di vista del verso che ha preso la globalizzazione, della reciprocità dei diritti e dei doveri commerciali, anche chiudendo spazi e proteggendo certe frontiere.
Il fattore energetico è un altro esempio dell’ambivalenza imperiale. Noi certo possiamo tentare un’indipendenza energetica o una sottrazione di influenza energetica da parte della Russia, ad esempio, nel momento in cui ci siamo resi conto che la Russia forza il nostro spazio. Ma possiamo farlo andando ad influenzare le politiche di altri paesi fornitori, come stiamo cercando di fare e come tutti hanno sempre cercato di fare, oppure anche decidendo una definitiva conversione alle rinnovabili come elemento di progresso civile, sociale ed ecologico, cioè ragionando da impero, ma da impero europeo.
Insomma il punto è questo: Esiste un modo europeo nel XXI secolo di essere impero? I tempi ci inducono a fare questo tipo di riflessione? E che cosa rappresenta la questione ucraina per noi in questo senso? Che cosa ci dice?