Non dateci date, dateci scenari alternativi
Non è arrivato il momento di cambiare modo e sostanza nella comunicazione di quello che avviene e di quello che avverrà? Non chiedo date, non chiedo certezze, non chiedo slogan. Chiedo ipotesi, chiedo ventagli coerenti di eventi potenziali, anche alternativi, chiedo scenari.
Mi si consenta: non sono più così utili i punti quotidiani dell’assessore Gallera, che sembrano ormai una rubrica di Luca Sardella; non hanno più grande senso le conferenze stampa quotidiane ansiogene della protezione civile che sembrano la Messa del pomeriggio prefestivo in cui si somministrano dati non molto significativi (che possono essere comunicati ai giornalisti in altro modo, magari con una semplice nota quotidiana e un punto settimanale).
Tutto questo ha avuto una funzione importante, ma quello che ci serve ora è il passaggio a un livello diverso, quello dell’esposizione delle strategie, soprattutto rispetto a quella famosa fase di convivenza con il virus che si sta prospettando.
Gli italiani stanno facendo un esercizio di fiducia e pazienza – però non possono farlo “a debito”, devono essere trattati secondo verità – e forse c’è l’occasione storica di parlare di futuro (prossimo) a una nazione come la nostra, che si è sempre dedicata solo al più effimero presente.
Quello che ci serve, per essere resilienti – e non escludo che come quegli anni famosi furono chiamati gli anni della Resistenza, questi che stiamo per vivere potranno essere gli anni della Resilienza, peraltro virtù che non tutti i popoli europei hanno – , è sapere non quello che sarà (perché non lo sa nessuno), ma quello potrebbe essere.
Che può succedere se gli europei si accordano, per esempio, con i bond? E che cosa può succedere se non si accordano? Quali sarebbero le conseguenze di alcune scelte o di altre? Quanti piani abbiamo, A, B, C? Che cosa succede se la Cina non si riprende? Se gli Stati Uniti si fermano? Abbiamo scoperto che non produciamo mascherine: che cosa ci può servire nei prossimi mesi che non abbiamo? Come si torna nei posti di lavoro, dal punto di vista logistico e spaziale, se il virus non passa?
Non dico che il governo debba mettersi a fantasticare sul futuro. Dico che qualcuno, per conto del governo, deve farlo. E, poi, rapidamente, il governo, o chi per lui, deve spiegarci la pluralità e la diversità degli scenari.
Visto che vi piace la metafora della guerra – e chi sono io per dire che non va bene – direi che se dobbiamo vincere questa guerra di resilienza – che rischiamo di perdere – non possiamo farla con le scarpe di cartone, ma dobbiamo essere avvertiti del ventaglio di possibilità. Dobbiamo essere messi subito in grado di capire che sacrifici dovremo fare (allo scenario minimo e allo scenario massimo), ci si deve dare il tempo di prepararci mentalmente, dobbiamo per esempio sapere se c’è la possibilità (non la certezza) che neppure a settembre i nostri figli andranno a scuola, che il telelavoro delle nostre aziende debba essere migliorato nel caso in cui l’emergenza durasse tutto l’anno o più, se in uno scenario o in un altro possiamo, noi come lavoratori, imprenditori, impiegati, professori, pensare addirittura di ricavarne opportunità, cambiamenti positivi, nuove proposte.
Non dubito che chi governa stia pensando al futuro. Chiedo che ne approfitti per renderci partecipi dei futuri possibili. Perché imparare a pensare i futuri possibili diventi un esercizio permanente anche per dopo.
Chiedo però che voglia farlo bene e sappia comunicarlo, essendo noi tutti adulti. Non bastano però gli epidemiologi e i tecnici dell’economia, ovviamente essenziali, per pensare i futuri prossimi. Però affiancate queste competenze a quelle di matematici, di architetti, di scrittori, di filosofi, di sceneggiatori di film, di storici, chessò a degli autori di Netflix, ad artisti, cioè alle competenze contemporanee, del nostro mondo, agli immaginatori di professione, cioè a quelli che conoscono lo sviluppo della realtà. Fatelo in fretta, però, e poi diteci cosa ci può aspettare, e tutti insieme cercheremo di andare pronti verso il meglio.