Cosa ci succederà dopo il coronavirus?
Nelle ultime settimane sono successe cose che non avremmo mai potuto immaginare (forse) e ci siamo abituati a situazioni che ci sarebbero sembrate impossibili. Navighiamo un po’ a vista, ma sappiamo che ci stiamo dirigendo verso un mare aperto di incertezze. Sappiamo che si è aperta un crisi che avrà conseguenze potenzialmente catastrofiche. Insomma, per la prima volta per le nostre generazioni ci troviamo di fronte a uno snodo storico e capiamo solo ora che i passaggi storici sono sempre privi di garanzie e che solo lo sguardo retrospettivo di chi viene dopo può renderli banali o teleologici.
Ma non è questo il punto. Il punto è che alcune cose le stiamo già imparando, per esempio che il patto di stabilità è uno strumento che funziona in certe crisi e che è ostacolo alla soluzione di altre crisi, che gli aiuti di Stato alle imprese in momenti di pericolo (e forse non sono in quelli) sono uno strumento utile, abbiamo imparato che uno Stato che non investe in un sistema pubblico efficace ed efficiente, che sia la sanità, la ricerca, l’istruzione è uno Stato che prima o poi si troverà in difficoltà, abbiamo capito che l’integrazione dei Paesi è necessaria, ma forse va fatta davvero e con altri metodi e strutture. Di tutto questo si dovrà tenere conto per costruire un mondo nuovo senza dogmi precostituiti, senza dottrine da applicare acriticamente, perché la storia cambia a volte rapidissimamente. Abbiamo di fronte a noi, in questo senso, la grande libertà e necessità del cambiamento.
Ci siamo però abituati anche ad altre cose, sulle quali dovremo vigilare, in primo luogo rispetto a noi stessi.
Abbiamo accettato in queste settimane, per delle ottime ragioni (non vorrei essere frainteso), che lo Stato ci impedisse letteralmente di uscire di casa, di andare a lavorare, di raggrupparci, ci impedisse perfino di andare a messa o alle funzioni religiose, ci impedisse di seppellire i nostri cari.
Sappiamo inoltre che tutte le nostre comunicazioni e le nostre relazioni sociali a distanza sono state di fatto garantite da compagnie tecnologiche che hanno come missione lo stoccaggio e lo sfruttamento dei nostri dati. Sappiamo che le autorità civili possono usare alcuni di questi macrodati per ricavare informazioni sui nostri comportamenti di massa (è per questo – per esempio seguendo le celle telefoniche – che sappiamo che il 40% dei nostri concittadini non si sono attenuti alle consegne in modo scrupoloso). Sono dati anonimi, ma per scelta condivisa, non per impossibilità tecnica e basterebbe un codicillo per trasformare tutto questo in qualcosa d’altro. In alcuni Paesi – non necessariamente non democratici – si è arrivati a tracciare i movimenti dei contagiati per capire come intervenire in zone e fette di popolazione per prevenire ulteriori contagi. Tutto questo è stato ed è utile.
Gli eventi ci hanno imposto delle limitazioni e delle possibilità inedite di intervento sulle nostre vite che noi abbiamo accettato (e, ripeto, va bene e meno male).
Ma tutto ciò ha colonizzato la nostra mente come orizzonte di possibilità. Tutto questo entrerà nei dibattiti futuri come realtà possibile, come precedente riapplicabile anche in casi diversi. Fino a un mese fa era roba da Netflix, oggi è uno strumento, che qualcuno vorrà usare perché lo abbiamo già usato. E noi, che abbiamo già visto tutto questo all’opera e ci è stato utile, cosa diremo?
È questo un pericolo potenziale per le nostre libertà? Il concetto stesso di libertà, nel mondo che si prospetterà, cambierà? Del resto la libertà degli antichi non è uguale alla libertà dei moderni, e la libertà classica non sarà forse uguale alla libertà dei postmoderni. Sta per cambiare la nostra idea di libertà? È questo uno dei nodi storici al quale assisteremo?
Non ho la risposta, ma per trovarla e per fare in modo che sia una risposta che ci piace, bisognerà impegnarsi molto e, come diceva quel tale, ci sarà bisogno di tutta la nostra intelligenza, di tutto il nostro entusiasmo, di tutta la nostra forza.