Macron, la camminata e la piramide
I rompicapo politici che seguono la vittoria di Macron sono molti e complicati e potrebbero accompagnare un processo di disgregazione dei due maggiori partiti francesi. Lo si vedrà nelle prossime legislative (ricordo che in Francia si vota per le legislative, come da noi, e, diversamente da noi che non ci fidiamo di noi stessi, anche per il detentore di una parte molto forte del potere esecutivo, cioè appunto il presidente. Se il presidente non ha una maggioranza non va a casa, ma “coabita” con le forze della maggioranza. E non è un dramma).
Tutto questo lo vedremo prestissimo, ma quello che abbiamo già visto, e che qui mi interessa, sono i fortissimi elementi simbolici visivi del discorso del Louvre di domenica scorsa. Tutti hanno notato immediatamente che la camminata di Macron al Louvre è stata una citazione visiva della camminata di Mitterrand al Panthéon del 1981. Anche in quel caso il sottofondo era l’Inno alla gioia di Beethoven, che è anche l’inno europeo.
L’altra celebre, ma incomparabile, camminata (ma chissà che se anche questa non debba essere considerata un elemento precomprensione visiva della messa in scena dell’altra sera) è quella dell’agosto del 1944, di Charles de Gaulle, dall’arco di trionfo fino al palazzo della città, che segnava la liberazione di Parigi.
La camminata di Mitterrand del 1981 ebbe un impatto fortissimo, con il nuovo presidente che avanza prima seguito dalla folla e poi completamente solo dentro quello spazio del regno dei morti onorati dalla patria che è il Panthéon di Parigi.
Mitterrand depone una rosa davanti alla tomba di Jean Jaurès e alla tomba dell’eroe della resistenza Jean Moulin. Tutta la cerimonia (qui dal minuto 3.45) è concepita come un passaggio del nuovo presidente nel regno dei morti, che però rendono viva e autorevole la sua funzione presidenziale, e un ritorno tra i vivi, tra le responsabilità rinnovate delle nuove generazioni. Peraltro nell’ultimo discorso di fine anno di Mitterrand, quattordici anni dopo, rilancia questa solidarietà tra vivi e morti annunciando di fatto, lo si capì dopo, la propria morte (e resurrezione, verrebbe da dire), dicendo che l’anno successivo, “là dove sarà”, sarà ancora grato ai francesi e aggiungendo: “credo alle forze dello spirito e non vi lascerò”.
Questo rapporto costante tra i vivi e i morti è in fondo inerente a tutte le funzioni “monarchiche” e quella presidenziale francese deve molto alla storia regale di quella nazione.
Da noi forse questo punto di passaggio tra generazioni, questo contatto segreto che rende immortale il potere, scappa propriamente alla funzione politica civile, per essere assorbito dalla monumentalità della chiesa cattolica, istituzione che presidia la storia e il passaggio della vita e della morte (basti pensare ai “testimoni” della fede rappresentati dalla statue che ornano il porticato del Bernini in piazza San Pietro. Un’altra, grandiosa, storia).
Macron non si è spinto così in là, ma la cerimonia è stata allestita proprio sotto la piramide del Louvre, che è un lascito presidenziale di Mitterrand (come l’enorme Biblioteca Nazionale di Francia, che nessuno sceglie mai come luogo simbolico, ma che fu oggetto di una delle primissime visite, forse la prima, anche se molto discreta, di Hollande appena eletto, proprio in omaggio a Mitterrand e peraltro accompagnato dalla di lui figlia Mazarine). Nella piramide mitterrandiana Macron si è visivamente inscritto, quasi a fare coincidere la sua immagine con quella della grandezza presidenziale che ormai deve incarnare.
La piramide è simbolo di tante cose (i complottisti e gli “illuminati” di tutti i colori si sono già scatenati), ma è qui soprattuto segno di potere monumentale. La piramide ricorda anche Napoleone, il “vero” Napoleone, non quel Napoleone III che i media francesi si sono fulmineamente affrettati a comparare a Macron per la giovane età di arrivo al potere (se questa è la Quinta Repubblica i francesi non cessano infatti di pensare che ci sia una continuità di un qualche tipo con tutte le repubbliche precedenti, fino a quella della libertà, uguaglianza, fratellanza, immancabile trio di ogni discorso. O almeno lo pensano quasi tutti, certo non il cantante Katerine).
Del resto altrettanto importante da questo punto di vista era la sede che Macron aveva chiesto alla sindaca (che non ha potuto concerderla) per svolgere la cerimonia, e cioè il Campo di Marte, tra la torre Eiffel e la scuola militare. Si tenga presente che i luoghi simbolici “normali” in cui i presidenti appena eletti fanno il loro discorso sono la visivamente modesta piazza della Bastiglia (ma ovviamente importantissima per il simbolo rivoluzionario) per la sinistra e l’equivalente piazza della Repubblica per la destra repubblicana.
Insomma che cosa vuol dire tutto questo, oltre il gusto di ricordare alcuni momenti della storia francese contemporanea? Una cosa semplice, cioè che dopo un Hollande presidente “normale”, dopo un Sarkozy ipercinetico che erode la funzione presidenziale, di fatto desacralizzandola, per un eccesso di energia quotidiana, Macron ricostruirà l’immagine visiva e verbale dell’autorità presidenziale. O almeno questo sembra essere il suo progetto di estetica del potere.