Che cosa aspettarsi dal dibattito tv tra Le Pen e Macron
«Lei è un uomo del passato» disse Giscard d’Estaing a Mitterrand nel primo dibattito presidenziale televisivo francese, nel 1974. E in quel momento non aveva torto, tanto che Giscard vinse le elezioni. Sette anni più tardi Mitterrand, ancora al ballottaggio con Giscard, riferendosi all’aumento impressionante del deficit nel settennato del suo rivale, restituì il colpo, con un fulminante «Lei è l’uomo del passivo». E vinse. Le stoccate presidenziali di Mitterrand al povero Chirac non si contano («Lei non può trattarmi come suo primo ministro, ma secondo parità, perché sono candidato presidente come lei» – protestava Chirac a un impassibile Mitterrand, che rispondeva più o meno «Lei ha ragione. Io però la tratto per quello che è, il mio primo ministro. Tra l’altro ha mostrato anche qualche capacità»). Il duello Sarkozy-Royal è rimasto celebre per il momento in cui Ségolène Royal sembrò perdere la calma, rimbrottata da un Sarkozy che le fece la lezione sulla necessità che un presidente mantenga sempre il sangue freddo, cosa che lei evidentemente non sapeva fare. Lo stesso Sarkozy, cinque anni più tardi, non fu assolutamente in grado di contrattaccare un Hollande che faceva indisturbato e molto presidenziale una lista di atteggiamenti che un presidente avrebbe dovuto tenere, introducendo ogni frase con un «Moi, président de la république…» («Se il presidente fossi io…»).
Naturalmente sono tutte frasi che rimangono impresse a posteriori, che notificano alla memoria collettiva il momento di vittoria e di sconfitta dei candidati, anche se non sapremo mai quanto abbiano davvero influito e quanto l’importanza che attribuiamo loro si fissi retrospettivamente.
Di certo il prossimo duello tra Le Pen e Macron, anche da questo punto di vista, si annuncia come uno dei più interessanti degli ultimi decenni.
Marine Le Pen è oggettivamente superiore a Macron dal punto di vista retorico. Certo, è facilitata dall’estrema semplicità dei concetti che esprime, molto polarizzati, molto netti, ma bisogna riconoscerle un talento espressivo particolare (un po’ come quello di Mélenchon nel campo della sinistra). Il comizio di domenica scorsa di Le Pen a Villepinte è stato un discorso di rara forza retorica, con un attacco frontale a Macron, «il volto, l’aspetto, il candidato, il nome della finanza», è una mezz’ora finale di formidabile prosa otto-novecentesca, che a mio avviso è ancora il cuore della prosa politica efficace (come sanno bene a Hollywood), con un restyling accettabile e addirittura entusiasmante della Francia «come storia e come geografia». Purtroppo quella parte del discorso sembra essere un plagio ai danni del povero Fillon (la faccenda va approfondita), ma non importa a nessuno e quello che resta è uno spettacolare posizionamento culturale.
Macron ha invece qualche difficoltà retorica. Le sue risposte alle domande sono quasi sempre inutilmente strutturate, non tanto perché il pensiero sia complesso, ma forse perché segue senza accorgersi le regole della buona educazione retorica insegnate nelle scuole francesi fino all’asfissia (sempre introdurre, mai accontentarsi di un solo punto, sempre finire con una conclusione). Di fatto avvalora in questo modo l’immagine di uomo d’élite francese, con quel tanto d’insincerità che questo oggi comporta presso una certa parte degli elettori. Peraltro, visibilmente, cerca di governare una grande energia fisica che però si trasforma in piccoli gesti, in movimenti del collo, in sguardi impazienti, quasi in tic. Da questo punto di vista ricorda Sarkozy, che però aveva poi la capacità unica di far esplodere quella forza in un controllo totale della voce, in gesti senza replica, in una prosa semplice, solenne e urlata senza scomporsi al momento giusto che mobilitava il consenso. Naturalmente Macron ha anche delle qualità notevoli. Non lascia mai cadere un argomento, un’insinuazione, un dubbio, vuole convincere, perché è convinto. E ha una notevole capacità di attacco diretto, sa dire ai suoi avversari le cose come stanno.
In questo senso il dibattito di mercoledì promette spettacolo, se posso esprimermi così. Poi c’è com’è ovvio l’aspetto più propriamente politico, sia quello del piccolo posizionamento per i voti, sia quello delle grandi posizioni culturali.
Le Pen è in svantaggio di circa venti punti e si gioca il tutto per tutto, galvanizzata da un’alleanza con i sovranisti che rompe l’isolamento del Fronte Nazionale. Proverà in primo luogo a convincere gli elettori della destra repubblicana. Non a caso nei suoi discorsi si moltiplicano i riferimenti a De Gaulle. Ma nessuno dimentica – tranne le nuove generazioni, e non è poco – che il Fronte Nazionale ha avuto in odio De Gaulle per la sua posizione finale sull’Algeria e che tra i fondatori del movimento ci furono membri di gruppi vicini ai tentati golpisti antigollisti della fine degli anni ’50 (non bisogna mai dimenticare che in Francia ci sono due destre, incompatibili fino a oggi). Le Pen ha citato addirittura Chirac, l’odiatissimo Chirac, esprimendo gratitudine per aver evitato la guerra in Iraq. Sarà difficile che Macron faccia passare a Le Pen questo tipo di furbeschi riferimenti.
E per tranquillizzare l’elettorato di destra repubblicana Le Pen ha addirittura avanzato una proposta strampalata, in questi ultimi giorni, di doppia moneta, euro e franco. La proposta è quello che è, e Macron su questo avrà buon gioco a dimostrare la confusione delle idee del FN.
Marine Le Pen cercherà inoltre di corteggiare una certa parte di elettori di sinistra radicale, che si sono accorti che certe proposte di Mélenchon non sono del tutto dissimili da quelle del FN. Il riferimento è chiaro quando Le Pen si indirizza alla Francia di chi non si sottomette (La France Insoumise è proprio il movimento di Mélenchon). Dovrà però rinunciare allora a fare dell’immigrazione il punto unico del dibattito.
Da parte sua Macron può certo stare in difesa, ma dovrà anche attaccare. Dovrà togliersi di dosso l’insinuazione di “uomo dei soldi” (come lo definì il centrista Bayrou oggi suo alleato) e delle banche. A mio avviso andrà direttamente al punto e dovrà soprattutto presidiare la zona della destra repubblicana, perché solo uno smottamento di quell’area verso la Le Pen potrebbe complicare le cose. Rimane però critico, a mio avviso, il posizionamento liberale di Macron, che se è erede in qualcosa del partito socialista, lo è proprio nell’ambiguità di posizionamento liberal-democratico (lo dico per quanto riguarda il dibattito). E questo gli impedirà anche – ma chi lo sa? – di indirizzarsi troppo agli elettori mélenchoniani.
E poi c’è il punto più importante. Raramente vedremo affrontarsi in modo più chiaro e al massimo livello due diverse concezioni della politica e dell’Europa. Tutte le ragioni del populismo contemporaneo saranno finalmente presenti in un programma di governo e in una concezione geopolitica. Tutte le ragioni europeiste potrebbero essere spiegate e i modi per cambiare l’Unione potrebbero essere almeno indicati come orizzonte del futuro immediato. La polarizzazione tra i due candidati è in questo senso più netta che mai, al limite della battaglia di civiltà (ma diciamo almeno di cultura politica): per Le Pen bisogna «scegliere la Francia», che rischia di «non sopravvivere» all’Europa, per Macron la Le Pen è «l’anti-Francia».