Il “sindaco d’Italia” incompleto
Questa legislatura era cominciata con progetti di grandi riforme istituzionali. Da più parti, anche a sinistra, si era rilanciato il dibattito sul semipresidenzialismo o comunque sulla forma di governo, al punto che la legge elettorale veniva considerata come l’ultimo elemento di un piano di riforme più ampio. Ora il dibattito si sta concentrando sulla legge elettorale (come sempre) e sulla trasformazione del Senato. In particolare si parla della legge elettorale del “sindaco d’Italia”, un doppio turno che garantirebbe visibilità ai piccoli e governabilità.
C’è un paradosso però; e di non poco conto. Ci sarebbe una legge elettorale del sindaco d’Italia, ma senza sindaco d’Italia, cioè senza aver cambiato nulla dei rapporti tra partiti in parlamento ed esecutivo, che è il vero punto debole da sempre del nostro sistema. Renzi oggi, leader del partito di maggioranza, può mettere sotto pressione Letta – che in questo senso non ha neppure i poteri di un sindaco – ma cambiando solo la legge elettorale sarà a sua volta messo sotto pressione da qualcun altro quando sarà lui al posto di Letta. Ve lo immaginate un comune italiano con la legge elettorale del sindaco d’Italia, ma con il sindaco che non viene eletto dai cittadini ma dai consiglieri comunali, che possono anche cambiarlo senza passare per le elezioni? Facile, è il sistema che si profilerrebbe in Parlamento (e che in sostanza è quello di sempre).
Fa benissimo Antonio Polito sul Corriere della Sera a sottolineare che senza riscrittura dei poteri dell’esecutivo (presidente del consiglio) gli elementi di instabilità resterebbero tutti (perché la nostra instabilità è proprio quella, non si scappa). La sera delle elezioni sapremmo chi vince, ma non sapremmo il nome (o i nomi) del presidente del consiglio fino a fine legislatura. Fa anche bene a proporre non un’elezione diretta del capo dell’esecutivo, per schivare tutti i soliti argomenti contrari (che a mio avviso sono spesso inconsistenti e a volte paradossali), ma una ridefinizione dei rapporti tra premier e maggioranza e governo (fiducia individuale, sostituzione dei ministri, chiedere lo scioglimento del parlamento in caso di perdita della maggioranza, sfiducia a maggioranza assoluta, etc.).
Certo, mi chiedo perché gli italiani dovrebbero essere considerati poi non abbastanza maturi per eleggere direttamente questo premier, ma se c’è la possibilità storica, in questi mesi, di una riforma come quella che auspica Polito, meglio quella riforma nella giusta direzione, che determinerebbe anche un cambio di cultura politica, che nessuna riforma. E anche la riforma del Senato, soprattutto in quella variante proposta dal domenicale del Sole 24 Ore da Armando Massarenti di Senato delle competenze al servizio delle scelte collettive, acquisirebbe un elemento ulteriore di ordine e di senso. Sarebbe curioso se alla fine di tutto il dibattito e di tutte le riforme, quello che mancasse fosse proprio, ancora una volta, un sindaco per l’Italia.